Sanguinosa impasse Diplomazia bloccata

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 L’accerchiamento diplomatico non ferma le violenze in Siria. Alcuni attivisti hanno riferito ieri all’emittente televisiva al-Arabiya che le forze di sicurezza avrebbero ucciso 7 persone a Rastan, città  nel sud-ovest del paese, già  venerdì teatro di violenti scontri. Altre 5 persone avrebbero perso la vita ieri nel distretto di Khalidiyeh, 3 a Baba Omrou, 2 a Bab al-Sibaa, 2 nella città  di Tadami e un’altra a Tarawih dopo la preghiera della notte.

Gli attivisti hanno aggiunto che dei bombardamenti sarebbero in corso in queste ore anche ad Homs, e che l’esercito sarebbe entrato nella città  e avrebbe aperto il fuoco nel distretto di al-Khalidaya. Al momento però non ci sono notizie di vittime da questa zona.
I morti di ieri si aggiungono a quelli di venerdì. Secondo gli attivisti le forze di Assad avrebbero ucciso 34 persone, compresi 4 bambini, sparse tra Homs, la provincia meridionale di Deraa, le periferie di Damasco e l’antica città  di Palmira.
L’Osservatorio siriano per i diritti dell’uomo dà  invece un bilancio meno tragico di venerdì e parla di 28 vittime in tutto il paese per gli scontri tra le forze di sicurezza e i manifestanti antigovernativi. I morti sarebbero 13 nella regione centrale di Homs e 15 in varie località  dell’area di Daraa, dove si registrano anche 25 feriti.
Bashar al-Assad non sembra smuoversi e continua a reprimere, pur accusando dei disordini «complotti» interni ed esterni. Forse perchè in realtà  le parole della comunità  internazionale appaiono poco credibili. La dichiarazione di Stati uniti, Gran Bretagna e alleati europei di preparerare una bozza di risoluzione di sanzioni contro la Siria da portare al Consiglio di sicurezza Onu, che esclude comunque l’intervento militare, è minata alla base da due fattori.
La Russia, che gode del diritto di veto in Consiglio di sicurezza, dice di «non essere pronta» a chiedere le dimissioni di Assad: meglio concedergli ancora un po’ di tempo per realizzare le riforme più volte promesse. E Alistair Burt, del Foreign Office inglese, dichiara alla Bbc di «non aver ancora preso una decisione sulle sanzioni al settore petrolifero» in quanto non bisogna dare al regime la scusa per dire: «danneggiate il popolo siriano». Ma il fatto che alcuni governi europei abbiano interessi commerciali nel paese, oltre ai timori di quel che potrebbe diventare una Siria senza più il controllo politico-sociale degli Assad, ha sicuramente il suo peso. Secondo stime Onu i morti civili arrivano a 2000.


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