Siria, attacco navale contro i ribelli

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GERUSALEMME – Anche le navi della marina militare, oltre alle truppe corazzate, per domare la protesta a Latakia, il principale porto della Siria sul Mediterraneo. La denuncia di questa ulteriore impennata di violenza da parte del regime di Assad contro i manifestanti che ne chiedono le dimissioni, viene dal’Osservatorio per i diritti umani, un’organizzazione umanitaria con sede a Londra, ed ha ricevuto conferma da una drammatica testimonianza raccolta dall’Agenzia Reuters: «Posso vedere – ha raccontato praticamente in diretta un abitante della città  portuale – i profili di due vascelli grigi. Stanno sparando con le mitragliatrici pesanti e i loro colpi finiscono sui quartieri di al Raml al Filistini e di al Shaab». Lo stesso Osservatorio ha affermato che ieri, in diversi scontri con i dimostranti, le forze di sicurezza hanno ucciso 23 persone, molte decine, i feriti.
E’ a Latakia che, ieri, l’apparato repressivo del regime siriano ha deciso un’improvvisa accelerazione facendo scendere in campo la Marina. Le navi da guerra si erano già  viste a maggio incrociare a largo di Banjas, l’altro porto sul mediterraneo, teatro di molte manifestazioni anti-Assad, ma non avevano sparato. Ieri invece, contro alcune zone di Latakia, da mesi praticamente sotto assedio da parte delle forze militari, sarebbe stata scatenata una vera e propria offensiva dalla terra e dal mare. Un’offensiva che, secondo il tam-tam degli attivisti, ha visto cadere le prime vittime palestinesi (a quanto pare, un’intera famiglia) perché il quartiere di Raml al Filistini altro non è che un campo dove vivono circa 6500 dei quasi 120 mila profughi palestinesi riparati in Siria durante e dopo la guerra del 1948 contro Israele.
Non è la prima volta che i profughi palestinesi si sono visti costretti a impacchettare alla svelta le loro cose per tentare una nuova fuga. E’ già  successo in Libano, a Gaza e in Giordania. Ora sembra che ieri anche i palestinesi di Raml hanno tentato di allontanarsi dai colpi dei carri armati e delle navi siriane. Ed è in questo frangente che ci sarebbero state molte vittime.
Il regime di Damasco, dunque, insiste nella sua “campagna del Ramadan”, che consiste nel contrastare violentemente le manifestazioni che, quotidianamente, dopo la preghiera della sera (Tarawih), quella che interrompe il digiuno, prendono il via dalle moschee. Pare che a Latakia, in diverse occasioni, siano scese in piazza non meno di ventimila persone. Da qui la decisione del vertice di usare il pugno di ferro contro quelli che i media ufficiali definiscono «bande terroriste armate». Le proteste della Comunità  internazionale (le telefonate tra Obama e il re Abdullah dell’Arabia Saudita e tra Obama e il premier inglese Cameron, sempre più indignati dalla violenza del regime ma sempre meno capaci di dare seguito pratico alla loro indignazione) non servono a fermare il pugno duro di Assad.
Non è esagerato dire che a Latakia è un corso uno scontro decisivo, perché la città , otre ad ospitare un porto strategico, è capoluogo della regione montuosa culla degli alawiti, la minoranza, religiosamente inserita nel credo sciita, cui appartengono la famiglia Assad e molti dei caporioni del regime. Ma la maggioranza della popolazione, quella che sembra subire i colpi della repressione è sunnita. Il rischio che la protesta degeneri in una guerra civile inter religiosa è altissimo.


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