Soccorsi negati e violenze così i ribelli islamici massacrano il popolo

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MOGADISCIO – Gli uomini di Al Shabab, il gruppo di rivoltosi islamisti che almeno fino a ieri controllava buona parte della Somalia del sud, bloccano la fuga delle vittime della carestia e rinchiudono in un campo profughi chiunque cerchi di fuggire da quel territorio. Secondo un’opinione largamente condivisa, ad aggravare le conseguenze della carestia è proprio il comportamento dei ribelli, che con la loro violenza hanno messo in fuga molte delle organizzazioni di soccorso occidentali, privando così le vittime della siccità  degli aiuti alimentari di cui hanno un disperato bisogno. La situazione sta peggiorando di giorno in giorno: si contano già  decine di migliaia di morti, e sono oltre 500.000 i bambini che rischiano di morire di fame.
Ogni mattina si vedono genitori emaciati e bambini scheletrici trascinarsi verso il Banadir Hospital, un edificio squallido e pervaso da un forte odore di gasolio, l’unico mezzo disponibile per tener lontane le mosche. Molti neonati muoiono per mancanza di farmaci e di attrezzature idonee. Ad alcuni vengono applicate le flebo per adulti, data la difficoltà  di trovare quelle pediatriche; e i loro corpicini debilitati non riescono ad assorbire la dose eccessiva di liquido.
Spesso i genitori non hanno i mezzi per acquistare i medicinali; e si vedono intere famiglie ammassate su vecchi letti destinati un tempo ai malati di colera, con nel mezzo aperture del diametro di un pallone da basket; e afflitti come sono da attacchi di diarrea, fanno a turno per andare in bagno. «È peggio che nel 1992», dice il dottor Lul Mohammed, primario di pediatria dell’ospedale, ricordando l’ultima grande carestia in Somalia. «Allora almeno ci arrivava qualche aiuto».
Le organizzazioni di soccorso cercano di intensificare la loro attività , e le Nazioni Unite hanno incominciato a inviare aiuti alimentari d’emergenza per via aerea. Ma molti dei loro esponenti più esperti sono pessimisti. Di fatto questo disastro, uno dei più gravi di questi ultimi decenni in Africa, ha colpito una delle aree più inaccessibili dall’intero pianeta. Da anni la Somalia, e in particolare la zona sud, la più colpita dalla carestia, è considerata come un luogo da evitare, un calderone in cui regna l’illegalità . «Se fossimo ad Haiti, a quest’ora avremmo qui decine di soccorritori», dice Eric James, dell’American Refugee Committee, un’organizzazione privata.
Di fatto la Somalia è considerata più pericolosa e più anarchica non solo di Haiti, ma persino dell’Iraq e dell’Afghanistan; e per le organizzazioni quali l’American Refugee Committee è difficilissimo trovare personale adeguatamente preparato da inviare in quest’area. Secondo James, «non è azzardato dire che se avremo un gran numero di morti, sarà  proprio a causa della difficoltà  di accedere alla zona colpita». In queste condizioni, i milioni di somali che non riescono a fuggire verso i Paesi vicini – in Kenya o in Etiopia, dove possono sperare di trovare più assistenza – avranno due sole possibilità  per sopravvivere: mendicare aiuti dal debole governo di Mogadiscio oppure rimanere nella zona controllata dagli Shabab, il gruppo che si è schierato con Al Qaeda e ha cercato di bandire ogni espressione dell’Occidente, dalla musica al vestiario, fino alle organizzazioni di aiuto in tempi di carestia. «Gli insorti Shabab hanno deviato l’acqua dei fiumi, togliendola agli abitanti di villaggi poverissimi per convogliarla verso le colture commerciali, in cambio di una tassa – raccontano i profughi – Molti di noi sono stati bloccati e rinchiusi in un campo, a circa 25 miglia dalla città . Lì sono ora ammassate diverse migliaia di affamati, ai quali il cibo viene dato col contagocce».
Molti dei profughi che sono riusciti ad arrivare a Mogadiscio riferiscono che Al Shabab minaccia di uccidere chiunque tenti di fuggire in Kenya, in Etiopia o in altre zone della Somalia controllate dal governo; e che l’unica possibilità  è quella di allontanarsi di soppiatto, a notte fonda, evitando le strade principali. Alcuni anni fa i ribelli misero al bando le vaccinazioni, considerate come lo strumento di una congiura occidentale per uccidere i bambini somali. Anche per questo, innumerevoli bambini non vaccinati stanno morendo di morbillo o di colera, e decine di migliaia di persone malnutrite e prive di difese immunitarie fuggono dalle zone colpite dalla siccità  per ritrovarsi ammassate nei campi profughi, in condizioni igieniche deplorevoli.
Giorni fa Kufow Ali Abdi, un pastore rimasto senza il suo gregge, usciva dall’ospedale Banadir portando delicatamente un piccolo involto coperto da un panno azzurro. Si sarebbe detto un neonato in fasce. E invece no: era la salma della sua bambina di tre anni, Kadija, morta poco prima di morbillo. Gli altri due bambini, ridotti a pelle e ossa, erano all’ospedale. «Spero che riescano a salvare almeno loro».
Molte organizzazioni esitano ad avventurarsi nelle aree controllate dagli Shabab. I pericoli sono fin troppo noti: i soccorritori uccisi si contano a decine. Le organizzazioni di aiuto occidentali stanno ora cercando di operare il più possibile attraverso organismi islamici e locali; ma per lo più i partner somali non dispongono della necessaria competenza tecnica. E per di più, a Mogadiscio sono nuovamente in atto scontri molto aspri, che mettono in pericolo anche i soccorritori somali.

(©The New York TimesLa Repubblica. Traduzione di Elisabetta Horvat)


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