Spigola e radicchio a 3 euro e mezzo rivolta contro i prezzi del Senato

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ROMA – È l’effetto Spidertruman: prendi un privilegio della casta, rilancialo sul web, dai voce all’indignazione e il risultato è una valanga di polemiche contro piccoli e grandi benefit di una classe politica ai tempi della crisi. Stavolta la colpa è di un piatto di spaghetti alle alici a 1 euro e 60, di un filetto alla griglia a 5 euro e 23 e di una fetta di crostata a 1 euro e 74. Prezzi popolarissimi riservati ai senatori che decidono di pranzare al ristorante di Palazzo Madama. Appena più alti di quelli spesi da un operaio Fiat alla mensa di Mirafiori, dove un pranzo completo costa 1 euro e 20. Il menù del Senato, frutto di un’inchiesta dell’Espresso, è stato pubblicato su internet trascinandosi dietro i commenti polemici di decine di lettori e utenti di Facebook che si sono scambiati il prezioso documento anti-casta.
Il tutto proprio nel giorno in cui il Parlamento riapre per ascoltare la relazione di Giulio Tremonti. Nel discorso del ministro c’è spazio anche per «interventi incisivi sui costi della politica». La polemica sul menù, però, è scoppiata. Tanto che il Senato è costretto a correre ai ripari. In una nota, l’ufficio stampa del presidente Schifani ricorda la recente approvazione di un ordine del giorno grazie al quale i prezzi della ristorazione interna verranno presto adeguati ai costi effettivi. Insomma, se i senatori manterranno le promesse, il menù finito nelle mani dell’Espresso potrebbe diventare un pezzo da collezione.
Carpaccio di filetto 2 euro e 76, lamelle di spigola con radicchio e mandorle 3,34, bistecca di manzo 2,68. Su internet, Spidertruman, il mascherato fustigatore della casta, sostiene che il documento risalirebbe a un paio d’anni fa e che oggi i prezzi sarebbero aumentati. Giusto di una cinquantina di centesimi, non di più. Non troppo diversa la situazione a Montecitorio, dove ancora ieri era possibile mangiare un pesce spada arrosto a 7 euro e 90 o degli gnocchi alla sorrentina a poco più di 3 euro. Anche lì, come al Senato, il tutto accompagnato da un servizio impeccabile. Ma se a Montecitorio la differenza tra il costo di un pasto completo per la Camera (29 euro) e quello per un deputato (circa 15 euro) è del 50%, a palazzo Madama la forbice si allarga. La Gemeaz, la società  che si occupa della ristorazione e che ha vinto un appalto nel 2009, fa pagare al Senato quasi 80 euro a pasto a fronte dei 20 euro pagati da un onorevole alla cassa. Di meno, a Roma, si spende solo nelle mense di materne ed elementari comunali, dove per 20 pasti al mese una famiglia spende al massimo 80 euro.
Sul web, intanto monta la rabbia verso la casta: «Ho il voltastomaco – scrive Claudio – sono pensionato ed al supermercato spendo in un mese quanto un parlamentare forse non riesce a spendere al ristorante in una legislatura». Su Facebook Alessandro commenta così: «Io con 5 euro, forse mangio un toast e una bottiglietta d’acqua». Per la cronaca, Carlo Monai, il deputato dell’Idv che ha raccontato all’Espresso «la vita a scrocco di un parlamentare», menù compreso, è diventato il bersaglio delle invettive dei suoi colleghi. Qualche giorno fa è stato sommerso di critiche e insulti da parte di mezzo emiciclo, opposizione compresa. Tutti a contestargli la cattiva pubblicità  alla casta.


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