Tasse alla finanza, l’Europa tira dritto

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BRUXELLES — La Commissione europea tira dritto: ha confermato che a ottobre, al più tardi novembre prima dell’incontro del G20, sarà  presentata una proposta per l’introduzione in tutta l’Europa della tassa sulle transazioni finanziarie. Renderà  fra i 15 e i 20 miliardi di euro o addirittura fra i 30 e i 200, così si dice a seconda delle fonti, e sarà  «ad ampio raggio», come richiesto da Nicolas Sarkozy e Angela Merkel.
Ma per adesso, ribatte la legione pure foltissima dei critici, sono più alte le perdite che la nascitura «Tobin tax» — dal nome dell’economista americano che la concepì nel 1972 — sta creando sui mercati. C’è infatti chi lega i crolli delle Borse alle proteste di coloro, banche e società  finanziarie, che più sarebbero colpiti dall’imposta: non sarebbe un caso per esempio se l’altro ieri la Borsa tedesca, dalla quale erano giunte dure proteste, sia franata del 5%. Il dubbio riguarda soprattutto le banche, messe alla prova dalla crisi generale e dall’esaurimento dei fondi governativi per le ricapitalizzazioni: per loro, dicono sempre i critici, oggi la Tobin tax sarebbe un colpo di grazia, e da qui non si può escludere una reazione preventiva. Con un corollario non detto: il prossimo piano di salvataggio per la Grecia, ormai inevitabile, costituirebbe già  una richiesta molto onerosa per le banche, che troverebbero nella Tobin tax una nuova zavorra imprevista.
Ma questi sono appunto dubbi, ipotesi: impossibili da verificare in tempi brevi. Quello che invece è sicuro è che la nuova imposta, definita prudenzialmente come «piuttosto bassa», verrebbe concepita ovviamente in funzione antispeculatori e non dovrebbe riguardare solo i 17 Stati della zona euro, come indicato in un primo momento, ma tutti i 27 Stati della Ue. E ciò per scongiurare «differenze di trattamento» fra un’Europa e l’altra. Si è dunque molto avanti nella definizione dei dettagli. Se si punta, come data ultima di varo del progetto politico, alla riunione di inizio novembre del G20 a Cannes, è perché proprio il G20 è la sede istituzionale in cui la Tobin tax è stata più dibattuta negli ultimi anni. E prima di novembre, ci sarà  comunque un’altra scadenza importante in cui discutere di questo, e di altro: il 29 agosto, all’Europarlamento convocato in sessione straordinaria per dibattere sulla crisi dell’Eurozona, saranno chiamati a parlare Jean-Claude Juncker, presidente dell’Eurogruppo, il presidente della Banca centrale europea Jean-Claude Trichet (in una delle sue ultime apparizioni pubbliche prima di cedere il timone a Mario Draghi) e il commissario europeo agli Affari economici e monetari Olli Rehn.
Come dire: tutti — o quasi — coloro ai quali spetta una parola decisiva su come governare la barca dell’euro nella tempesta. Gli altri temi in ballo sono gli stessi di cui si sono occupati Angela Merkel e Nicolas Sarkozy, nel loro ultimo vertice a quattr’occhi: la dotazione finanziaria del Fondo salva-Stati (440 miliardi: per molti è troppo magra, la Germania non vuole toccarla); gli eurobond (Parigi e Berlino li escludono, in tanti — anche a Berlino — però ne discutono), il governo economico dell’Eurozona (in molti plaudono, altri hanno parlato del classico topolino partorito dalla montagna). Insomma, c’è grande accordo soltanto sul disaccordo: che raggiunge il culmine nel caso della Tobin tax. Per adesso, al fianco di Merkel e Sarkozy, si sono schierati solo Belgio e Finlandia; ma nella stessa Germania, le voci critiche sono parecchie; mentre l’armata dei contrari è guidata dalla Gran Bretagna e dall’Olanda. O da esperti come Charles Dallara, direttore dell’Iif (organizzazione che raccoglie 400 banche e assicurazioni) che in un’intervista alla televisione Bloomberg ha parlato seccamente di «ipotesi molto discutibile».
Secondo quanto ha dichiarato il ministro britannico delle Finanze, «qualunque tassa sulle transazioni finanziarie dev’essere applicata a livello mondiale, diversamente vi sarà  una reazione molto semplice: le transazioni coinvolte migreranno verso Paesi che non applicano questo tipo di imposta». Di eguale parere la Federazione delle banche francesi: «Una tassa così non può essere concepita se non a livello internazionale». Sottinteso: resterebbero ancora da convincere gli Stati Uniti, la Cina, altri Paesi asiatici che pure non applicano imposte simili e che sarebbero felici di accogliere le transazioni in fuga dall’Europa, e i loro operatori.
Appuntamento a novembre, per tirare (forse) le conclusioni.


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