Una Bretton Woods per salvare il mondo

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La speculazione continua ad aumentare la forbice tra ricchi e poveri a livelli sia statali sia individuali e tutte le recenti manovre di austerità  per non far fallire gli Stati non paiono far altro che alimentare il drammatico incremento delle disuguaglianze, dove anche le classi medie, insieme a quelle più disagiate, sono le più colpite. Disuguaglianze che non sono dovute, tuttavia, all’operare “naturale” dei mercati bensì a quattro decadi di precise scelte politiche negli Stati Uniti e, in copia, nel resto dell’Occidente.

Politiche tese a smantellare l’impianto legale con il quale gli Stati Uniti erano usciti dalla Grande depressione, con un settore finanziario rigidamente regolamentato, con norme che per circa quarant’anni avevano caratterizzato un sistema bancario, forse noioso, ma sano e propulsivo delle crescite economiche. Ma dagli anni 70 e 80 del secolo scorso quelle strutture regolamentari sono state smantellate dovunque, lasciando libertà  assoluta ai mercati, nell’invincibile presunzione che essi non facciano mai nulla di sbagliato.

La norma fondamentale posta allora dalla politica fu la deregolamentazione e ogni Paese ha al riguardo la sua storia. Da allora fino ad oggi gli Stati non hanno perso la loro sovranità , come è comodo sostenere, ma le classi politiche in generale, succube delle ideologie economiche professate dai sacerdoti del capitalismo finanziario, non hanno mai, anche perché spesso personalmente coinvolte, né esaminato, né governato il ruolo del denaro nella politica.

Quel ruolo che si è poi sovente trasformato in metastasi: anche qui ogni Paese ha la sua storia. La speculazione sul debito rende ora necessarie riforme di austerità  non certo dirette a prevenire le disuguaglianze ormai strutturali al sistema. Quando negli anni 80 i prestiti ai Governi dell’America Latina non furono rimborsati, gli interventi vennero spacciati come aiuti ai Paesi debitori in difficoltà , mentre in realtà  erano largamente diretti ad aiutare le banche americane ed europee che dovevano essere ripagate.

E gli aiuti arrivarono a quei Paesi con l’imposizione di rigorosi programmi di austerità  che comportarono almeno un decennio di riduzione dei redditi e di lentissima e minima ripresa economica. Non è forse l’Europa e in particolare oggi stesso l’Italia nell’identica situazione? E non son queste comunque politiche sostanzialmente impotenti?

In verità  le diseguaglianze, che l’abbandono della politica all’anarchia dei mercati ha incrementato, stanno seriamente minacciando anche le strutture delle democrazie, dei sultanati e dei vari totalitarismi, creando disordini, rivolte e rivoluzioni di varia natura. L’intero pianeta, abbandonata ogni giustizia sociale ed equità , pare ormai in preda agli “arrabbiati” di ogni legittimazione, connotazione e violenza.

Ebbene, la sola rivoluzione che potrebbe invece provenire dai poco autorevoli leader occidentali, come anche ha riconosciuto nell’articolo su questo giornale giovedì scorso l’insigne giurista americano Mark Roe, potrebbe essere a parer mio quella di abbandonare decenni di politiche stolte e convergere verso la creazione di una sorta di Rule of Law globale. Questo dovrebbe essere indirizzato soprattutto a eliminare le disuguaglianze, partendo per quel che ci riguarda da uno Stato di diritto europeo.

Una Bretton Woods non solo ex post, ma ex ante? Insomma, il diritto e la sovranità  sono ancora nelle mani della politica, se non inetta, degli Stati e augurabilmente di un’autorità  mondiale, come ha pure indicato nell’ultima enciclica Caritas in veritate persino Benedetto XVI.
Solo così avrà  efficacia il quasi ossimoro di Mao Tse Tung: «Grande disordine sotto il cielo: la situazione è eccellente».


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