Una religione per gli atei

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La domanda più insulsa che si possa fare sulla religione è se quello che racconta sia o meno «vero». E il fatto che sia proprio questo tema a essersi conquistato la luce dei riflettori, contrapponendo un gruppetto estremista di credenti fanatici a una banda altrettanto ristretta di atei fanatici, dà  la misura della trivialità  che prevale ultimamente nelle discussioni su argomenti teologici.
La cosa più saggia è partire dall’osservazione che, ovviamente, nessun elemento della religione è vero, nel senso di essere qualcosa che ci è stato donato da Dio. È scontato che non esiste nessuno spettro o spirito santo, nessun Geist, nessuna emanazione divina. Chi dissente da questa linea può tranquillamente interrompere qui la lettura, ma per tutti gli altri l’argomento non si esaurisce qui, nel modo più assoluto. La tragedia dell’ateismo moderno è di aver ignorato tutti quei numerosi aspetti della religione che continuano a rivestire interesse anche dopo che è stata scoperta l’assoluta implausibilità  dei precetti centrali delle grandi fedi. Anzi, è proprio quando cessiamo di credere all’idea che le religioni siano opera di dei che le cose si fanno interessanti, perché a questo punto ci possiamo focalizzare sull’immaginazione umana che ha inventato questi credi. Possiamo riconoscere che i bisogni che hanno spinto gli individui a creare tutto ciò evidentemente sono ancora in qualche modo attivi, anche se in sonno, nel moderno uomo laico. Dio è morto, forse, ma quel pezzettino di noi che ha fabbricato Dio continua ad agitarsi.
Furono i nostri avi del XVIII secolo, più saggi di noi da questo punto di vista, che nella prima fase di quel periodo che ci ha condotti alla «morte di Dio» cominciarono a ragionare su quello che avrebbero perso gli esseri umani una volta venuta meno la religione. Riconobbero che la religione non era soltanto una questione di fede, ma che poggiava su un miscuglio di interessi che avevano a che fare con l’architettura, l’arte, la natura, il matrimonio, la morte, i rituali, e che sbarazzarsi di Dio avrebbe voluto dire fare a meno di un gran numero di nozioni utilissime, anche se spesso peculiari e talvolta retrograde, che tenevano insieme le società  fin dall’inizio dei tempi. E così i più fantasiosi e ingegnosi cominciarono a fare due cose: prima di tutto iniziarono a confrontare le religioni mondiali, per individuare certe intuizioni comuni a ogni tempo e luogo, dopo di che cominciarono a immaginare come potesse essere una religione senza un Dio. Nei primi, inebrianti giorni della Rivoluzione Francese, il pittore Jacques-Louis David svelò quella che chiamò «la Religione dell’Umanità », una versione secolarizzata del cristianesimo che puntava a recuperare gli aspetti migliori dei vecchi precetti, ormai screditati. In questa nuova religione laica c’erano festività , cerimonie di nozze, figure venerate (santi secolarizzati) e perfino chiese e templi atei. La nuova religione faceva leva sull’arte e sulla filosofia, ma adibendole a scopi esplicitamente didattici: usava tutto il ventaglio di tecniche impiegate dalle religioni tradizionali (edifici, grandi libri, seminari ecc.) per cercare di renderci buoni secondo l’interpretazione del verbo più equilibrata e più avanzata.
Purtroppo l’esperimento di David non prese mai veramente piede e fu sommessamente abbandonato, ma rimane un momento straordinario della storia, uno sforzo ingenuo ma intelligente per dare una risposta all’idea che esistono in noi determinati bisogni che non potranno mai essere soddisfatti soltanto dall’arte, dalla famiglia, dal lavoro o dallo Stato. Alla luce di tutto questo, appare evidente che ciò che si serve oggi non è una scelta tra ateismo e religione, ma una nuova religione laica: una religione per gli atei.
Che cosa comporterebbe un’idea tanto peculiare? Per cominciare, una gran quantità  di nuovi edifici affini a chiese, templi e cattedrali. Siamo l’unica società  della storia a non avere al proprio centro nulla di trascendente, nulla che sia più grande di noi stessi. Lo sgomento lo avvertiamo in relazione a supercomputer, razzi spaziali e acceleratori di particelle. L’era prescientifica, con tutti i difetti che aveva, almeno offriva alle persone la pace mentale che deriva dal sapere che tutte le conquiste dell’uomo sono insignificanti di fronte allo spettacolo dell’universo. Noi, più provvisti di gadget ma meno umili nel nostro atteggiamento, siamo lasciati a districarci fra sentimenti di invidia, angoscia e arroganza che nascono dal non avere ricettacolo più convincente, per la nostra venerazione, degli altri nostri congeneri umani, brillanti e moralmente inquietanti.
Una religione laica comincerebbe dunque contestualizzando l’uomo, e lo farebbe attraverso opere d’arte, giardini pubblici e opere architettoniche. Immaginatevi una rete di chiese laiche, grandi spazi alti dove fuggire dalla baraonda della società  moderna e concentrarsi su tutto quello che è al di là  noi. Non c’è da stupirsi che le persone laiche continuino a trovare interessanti le cattedrali. Ci sentiamo piccoli dentro a una cattedrale e ci accorgiamo di quanto sia importante sentirsi piccoli per conservare l’equilibrio mentale.
Una religione laica, inoltre, userebbe tutti gli strumenti dell’arte per creare una propaganda efficace in nome della bontà  e della virtù. Invece di vedere l’arte come uno strumento in grado di scioccarci e sorprenderci, una religione laica tornerebbe alla concezione passata di un’arte il cui compito è quello di migliorarci. L’arte diventerebbe una forma di propaganda per una vita migliore e più nobile. È nella filosofia tedesca della fine del Settecento che troviamo le formulazioni più lucide di questa idea di propaganda idealistica. Nel suo L’educazione estetica dell’uomo (1794), Friedrich Schiller sosteneva che gli artisti dovevano offrirci ritratti di «santi» laici, figure eroiche e compassionevoli da usare come esempio. Invece di evocare i nostri momenti più cupi, le opere d’arte dovevano porsi, per usare le parole di Schiller, come una «manifestazione assoluta del possibile».
Una terza caratteristica della religione laica sarebbe quella di offrirci lezioni di pessimismo. La religione cercherebbe di contrastare i toni ottimistici della società  moderna e ricondurci al pessimismo di fondo delle fedi tradizionali. Ci insegnerebbe a scorgere la ferocia sconsiderata che si annida nelle spire della magnanima rassicurazione laica che tutti possono scoprire la felicità  attraverso il lavoro e l’amore. Non è che queste due entità  siano invariabilmente incapaci di offrire realizzazione, è solo che non ci riescono quasi mai. E quando un’eccezione viene spacciata per regola, le nostre sventure individuali, invece di apparirci come aspetti quasi inevitabili dell’esistenza, ci pesano addosso come una maledizione. Negando il posto che spetta naturalmente, nel destino dell’uomo, al desiderio insoddisfatto e all’incompletezza, la nostra moderna ideologia secolare ci nega la possibilità  di una consolazione collettiva per i nostri matrimoni litigiosi e le nostre ambizioni inappagate, condannandoci a un sentimento solitario di vergogna e persecuzione. Una religione laica costruirebbe templi e consacrerebbe festività  alla delusione.
Una religione laica sfiderebbe radicalmente l’ideologia liberale. Quasi tutti i Governi contemporanei, e anche le organizzazioni private, sono consacrati a una concezione liberale dell’aiuto, non hanno «contenuti» da proporre, vogliono aiutare la gente a rimanere in vita ma non hanno nessun suggerimento su cosa si debba fare con questa vita. È il contrario di quello che fanno tradizionalmente le religioni, cioè insegnare alle persone come si deve vivere, fornire modi validi (o non tanto validi) per concepire la condizione umana, e insegnare per cosa battersi e che cosa tenere da conto. Le associazioni di beneficenza e i Governi dei nostri giorni cercano di offrire opportunità , ma non ragionano o non si preoccupano granché di cosa farci con queste opportunità .
C’è una lunga storia filosofica e culturale che spiega perché siamo arrivati alla condizione nota come moderna società  laica. Ma non sembra ci sia nessun argomento convincente per rimanerci.
(Traduzione di Fabio Galimberti)


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