USA: meno spesa sociale, le scelte inevitabili

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Che finisca con l’accordo in extremis di cui ieri sera si stavano negoziando i dettagli, o con una rottura dalle conseguenze devastanti, la battaglia sul bilancio e la riduzione della spesa pubblica combattuta in questi giorni a Washington disegna un’America diversa da quella che abbiamo fin qui conosciuto. E sempre più lontana dal modello sociale di un’Europa che, anche se fatica sempre più a finanziarlo, difende orgogliosamente il suo «welfare» , considerandolo un irrinunciabile fattore di civiltà .
Le presidenze repubblicane, anche quelle più arcigne coi ceti deboli, avevano comunque lasciato un certo spazio agli interventi di solidarietà  sociale. Ma il capitalismo di George Bush, liberista e «compassionevole» , si è rivelato da un lato disastrosamente privo di controlli (davanti alle «bolle» sfociate nel disastro finanziario), dall’altro troppo costoso: pensioni, Medicaid (sanità  pubblica per i poveri) e Medicare ((la mutua per gli anziani) sotto la sua presidenza hanno continuato ad accumulare impegni di spesa sempre più insostenibili. Una situazione che il presidente conservatore ha aggravato allargando scriteriatamente la rete del Medicare proprio mentre, concedendo enormi sgravi fiscali, prosciugava le entrate.
Quando gli è subentrato, Barack Obama ha promesso di rimettere a posto le cose, ma non ha avuto il coraggio (o la forza) di affrontare il nodo fiscale, mentre dal lato della spesa con la sua riforma sanitaria ha promesso un rilancio e un’estensione dell’assistenza pubblica, sia pur con la promessa di gestirla in modo più oculato. L’offensiva della destra conservatrice che ha costretto Obama e democratici a negoziare un accordo lontanissimo dalle promesse fatte tre anni fa al loro elettorato, è sicuramente frutto di un’offensiva spregiudicata, estremista, incurante dei suoi possibili effetti destabilizzanti negli Usa e in tutti i mercati del mondo. Intervenire solo dal lato della spesa, senza toccare le tasse nel momento in cui l’America ha raggiunto il record del debito e anche quello del carico fiscale più basso degli ultimi sessanta anni, è poi, di certo, una scelta poco responsabile, oltre che iniqua. Ma, qualunque sia la natura degli ingredienti che si sono combinati, quella che viene fuori è l’immagine di un Paese che in futuro offrirà  protezioni sociali sempre più sottili. Meno spazio per la solidarietà  in un bilancio pubblico comunque povero di risorse, anche perché il poco che resterò dovrà  essere speso per rinnovare infrastrutture fatiscenti e promuovere una ripresa che il settore privato, per ora, stenta ad alimentare.
La manovra in futuro potrà  essere resa più equa, i ricchi potranno essere chiamati a pagare di più, ma il dibattito di questi giorni ha messo sotto gli occhi di tutti quello che gli esperti sanno già  da tempo: le dinamiche della spesa sono tali da rendere comunque ineludibili interventi davvero massicci da questo lato. Il buco che l’America dovrà  fronteggiare nei prossimi decenni è almeno il triplo dei 3-4 mila miliardi di tagli (in 10 anni) di cui si parla ora. In assenza d’interventi, la sola sanità  tra 15 anni si mangerà  la metà  del bilancio Usa. Chi ha vinto? Chi ha perso? Lasciamo l’ultima parola al senatore (democratico) Dick Durbin: «Keynes è scomparso nel ’ 46, ma muore davvero con questo accordo: non ci sono più soldi da spendere per l’economia, vincono i repubblicani»


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