Al Qaeda sgrida Ahmadinejad: «Ma quale complotto»
I jihadisti non volevano essere scippati del loro grande successo e ci tenevano a ribadirlo. Ma la precisazione del «Dottore» egiziano non ha certo spinto Teheran a desistere. E in occasione del recente discorso all’Onu, il presidente iraniano Ahmadinejad ha rilanciato il sospetto sul «misterioso 11 settembre» e l’uccisione di Bin Laden, eliminato — ha spiegato — per coprire i veri responsabili della strage.
La tesi ha mandato su tutte le furie i propagandisti di Al Qaeda. Che hanno replicato a tono con un articolo su Inspire, magazine pubblicato su Internet dal braccio yemenita del movimento. Teheran — è l’analisi della rivista — è in realtà «gelosa». Per gli iraniani, scrive l’autore, «Al Qaeda è una concorrente… Una organizzazione, che sotto il fuoco e senza Stato, è riuscita a fare quello che l’Iran non ha potuto fare…Dunque era necessario screditare l’11 settembre e non c’è strumento migliore delle teorie cospirative». Agli occhi dei seguaci di Bin Laden la linea antiamericana di Teheran è solo «un gioco politico» che nasconde, nei fatti, la collaborazione con il Grande Satana. Un’accusa estesa ai guerriglieri libanesi Hezbollah, buoni alleati dei mullah: «Fingono di combattere Israele e invece con la loro presenza fanno da scudo allo Stato ebraico».
La polemica nasconde in realtà rapporti più complessi e pragmatici. Dopo l’11 settembre molti esponenti di Al Qaeda e familiari di Bin Laden hanno trovato rifugio in Iran dove sono stati messi in residenze sorvegliate. I pasdaran li volevano tenere d’occhio e usare come moneta di scambio (specie con i sauditi). Di recente alcuni dirigenti, compreso il temuto Seif al Adel, sono stati lasciati partire in direzione dell’area tribale pachistana. Gli ayatollah guardano con sospetto Al Qaeda per tre ragioni: c’è un dissidio religioso visto che il movimento è sunnita mentre loro sono sciiti; in Iraq i terroristi di Osama hanno colpito senza pietà proprio la comunità sciita; i capi dell’organizzazione non hanno mai nascosto la loro avversione verso Teheran. Ma tutto questo non ha impedito che i pasdaran — in chiave anti-Usa — abbiano favorito alcune iniziative dei militanti. Un approccio puramente tattico e non ideologico.
Inspire, dedicando l’ultimo numero all’11 settembre, non poteva perdere l’occasione per sbeffeggiare l’Iran e esaltare il ruolo di unico vero nemico degli Stati Uniti. Il messaggio, sottolineato con forza, è: «Voi parlate, noi agiamo». Dietro il magazine c’è la mano di due personaggi. Il primo è Samir Khan, un saudita cresciuto nel Queens (New York), che si è trasferito da un paio d’anni nello Yemen dove si è unito ad Al Qaeda. La sua missione è gestire la propaganda del gruppo. Ed è così che ha creato la rivista, pubblicazione piena di consigli pratici su come fare la Jihad. In alcuni casi si è mostrato intraprendente, in altri si è arrangiato: il lay-out grafico di un numero era copiato da una rivista di mobili. Il secondo personaggio è l’imam Anwar Al Awklaki. D’origine yemenita, è nato però in New Mexico e si è fatto un nome grazie a Internet: predica in perfetto inglese ed è un punto di riferimento per i simpatizzanti che vivono in Occidente.
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