Chi racconta l’indignazione muore. Il Pcc imbavaglia due quotidiani

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  PECHINO. Dal giornalismo d’assalto al controllo diretto da parte del Partito comunista cinese. Per i critici non ci sono dubbi: col passaggio di Beijing Times e Beijing News sotto la tutela dell’ufficio di propaganda, il Pcc vuole mettere il bavaglio a due tra le pubblicazioni che negli ultimi anni sono riuscite più spesso a smarcarsi dalla linea ufficiale, quella che mostra una nazione tutta ricchezza e progresso. Colorati, spregiudicati, i due quotidiani si sono distinti per i servizi critici soprattutto nei confronti dei governi locali, dove non si contano i casi di corruzione e inefficienza amministrativa.
I due giornali saranno soggetti d’ora in avanti alla «supervisione politica» del Dipartimento della propaganda del comitato municipale di Pechino del Pcc. L’annuncio è stato dato lo scorso fine settimana da Lu Wei, vice capo del Dipartimento, nel corso di una riunione con le redazioni.
«Per i responsabili della propaganda della capitale era una seccatura non poterli controllare direttamente – ha spiegato al South China Morning Post Wen Yunchao, un esperto di media di Hong Kong -. Potevano soltanto influenzarne il contenuto editoriale con l’aiuto del dipartimento centrale di propaganda». Nate una decina di anni fa, quando il giornalismo cinese orfano di finanziamenti pubblici e agevolazioni già  si contendeva gli inserzionisti a colpi di gossip ma anche di denunce di scandali che coinvolgono funzionari locali del Pcc, con le loro inchieste Beijing Times e Beijing News hanno continuamente misurato l’equilibrio tra potere politico e informazione.
Le autorità  ora negano ogni intento censorio: i giornalisti più autorevoli rimarranno al loro posto e la linea editoriale non subirà  cambiamenti. «Ci saranno tante cose che non potremo più scrivere – ha detto al britannico Guardian un dipendente di una delle due testate -. Prima invece pubblicavamo notizie di cui gli altri giornali non potevano riferire».
Secondo alcuni il Partito vuole punire due giornali che – incoraggiati anche dalle denunce e dall’indignazione popolare veicolata dai weibo, i micro blog cinesi – non avevano risparmiato attacchi al governo in occasione del recente disastro ferroviario di Wenzhou (40 morti, 200 feriti). E quando la censura aveva imposto lo stop ai servizi troppo critici, Beijing News aveva pubblicato in prima pagina un articolo su un prezioso piatto di ceramica della Città  proibita spaccato in sei pezzi, un servizio in cui molti avevano letto un’allusione alle sei carrozze dell’alta velocità  made in China deragliate alle porte della città  sudorientale.
Altri analisti sostengono che le misure prese nei confronti dei due quotidiani vadano inquadrate in un più generale giro di vite contro i mezzi d’informazione, dopo che nelle ultime settimane le autorità  erano perfino ricorse a un annuncio, apparso sui portali che ospitano i weibo: chi diffonderà  notizie false, avrà  l’account sospeso per un mese. Lo stesso avvertimento – riferisce il Guardian – ricevuto da un reporter che ha osato «postare» le novità  su Beijing Times e Beijing News. La partita per la libertà  d’informazione è appena cominciata.


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