Cile, 11 settembre: l’onda di indignados fa tremare Pià±era

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Tutto iniziò nel maggio di quest’anno, quando i primi a scendere nelle piazze furono gli attivisti del movimento ambientalista, in marcia contro la costruzione in Patagonia delle cinque megacentrali del Progetto HidroAysén. L’onda del successo di quella manifestazione diede coraggio ad un nutrito gruppo di studenti, quindicimila per la precisione, i primi di quell’onda che da quel giorno in poi avrebbero paralizzato il Cile, mettendo sotto scacco il contestatissimo Presidente Sebastià¡n Pià±era.

Col passare delle settimane l’onda si è convertita in tsunami, tanto che quella messa oggi in atto nel paese sudamericano è stata definita la più grande contestazione popolare dalla fine della dittatura di Pinochet nel 1990.

Punti cardine della protesta: istruzione pubblica, senza speculazioni e di qualità . Proprio in Cile, fiore all’occhiello del miracolo economico latino, paese all’avanguardia come pochi nel campo dell’istruzione, con atenei in grado di attirare studenti da tutto il continente e professori formatisi nelle migliori università  degli Stati Uniti. Secono l’OCSE, il livello d’istruzione cileno è il più alto di tutto il Sudamerica. Eppure, il trucco c’è. E si vede. Soprattutto nelle tasche di chi si immatricola. L’Università  in Cile è la seconda più cara del mondo dopo quella americana. Per studiare (ossia, per esercitare un diritto, non per soddisfare un capriccio) la grande maggioranza della famiglie ricorre al debito, rimpinguando le casse degli istituti di credito. Funziona come un mutuo e ha più o meno la stessa durata. Chi finisce l’università  si trova davanti 15-20 anni di rate da pagare. Molti sono costretti ad abbandonare gli studi in corso, per l’impossibilità  di far fronte al debito accumulato.

Il sistema scolastico cileno è figlio del volere di Pinochet che durante la dittatura riformò l’istruzione, municipalizzandola. Il sistema prevede che dell’istruzione pubblica non se ne occupi lo stato ma direttamente i municipi. Questi coprono solo il 25% della spesa, il resto proviene dalle tasche di chi studia. Con rette, come detto, insostenibili. E poi c’è l’università  privata, con costi, è ovvio, ancora più cari. Il sistema fiscale vigente le favorisce, tra esenzioni fiscali e mancato reinvestimento dei profitti in istruzione, come invece vorrebbe la legge. L’hanno chiamato apartheid educazionale, perché l’istruzione di qualità  è alla portata solo di chi può spendere.

Insomma, parafrasando gli studenti, in Cile fare educazione è un business. Quindi, tutti in piazza. Le prime proteste a metà  maggio, con la richiesta che sia direttamente il Governo ad occuparsi dell’educazione primaria e secondaria e che venga garantito costituzionalmente il diritto ad un’educazione pubblica, gratuita di qualità . Dapprima una mobilitazione, poi lo sciopero generale, indetto per il 1 giugno. La partecipazione è altissima; le occupazioni di scuole e università  si estendono in tutto il paese, coinvolgendo centinaia di istituti.

La portata della protesta è tale che il presidente Pià±era, la cui popolarità  è scesa al minimo storico, non può far finta di nulla. Ai primi di luglio un primo tentativo di conciliazione: la creazione di un “Fondo per l’educazione” all’interno del “Grande Accordo Nazionale per l’Educazione”, con la previsione di 4 miliardi di dollari destinati a finanziare la scuola pubblica. Il tentativo di accordo esclude però in maniera categorica il controllo statale del sistema educativo, come invece richiesto dagli studenti. Per questi ultimi, la proposta del Governo è una delusione. Risultato: piazze ancora più piene e istituti ancora più occupati.

A metà  di luglio, Pià±era prova la carta di “squadra che non vince si cambia” e inizia il rimpasto di governo. Tra le poltrone più illustri a saltare, quella del Ministero dell’Educazione. Joaquin Lavà­n è sostituito con Felipe Bulnes. Nuovo piano di riforma: ulteriori finanziamenti alla suola pubblica, aumento del numero delle borse di studio e aiuti governativi per pagare i debiti degli studenti. In altre parole, soldi ma nessuna riforma strutturale.

Per tutta risposta, il movimento proclama per fine agosto un altro sciopero generale. Una due giorni che paralizza la capitale, in cui non mancano derive di teppismo urbano. La polizia non aspetta altro e partono le cariche, con tanto di bombe lacrimogene. Quasi 1400 dimostranti svengono fermati. Gli studenti accusano le forze dell’ordine di provocazione e metodi repressivi. Di sicuro non aiuta a stendere gli animi il decreto che impedisce agli studenti di utilizzare i mezzi di trasporto pubblico. Il governo accusa invece i manifestanti di teppismo. Tra feriti ed arresti ci scappa il morto. Giovanissimo, di soli 14 anni, Manuel Gutierrez. Ucciso da un colpo d’arma da fuoco partito dalla pistola di un poliziotto, come riconosciuto dagli stessi carabineros, nonostante un primo tentativo di insabbiamento.

Il tutto tra il generale oblio dei media europei, poco interessati ai contenuti e alle derive delle proteste. Fino all’individuazione di qualcosa che sì, potrebbe essere ben speso per fare notizia. Il volto, bello ed ammaliante, di Camilla Vallejo, la giovane studentessa di geografia leader del movimento studentesco. Faccia angelica da piazzare in copertina e allora via di paparazzate, foto, talk show ed interviste. La sua popolarità , pari al suo carisma e alla sua determinazione, è oggi tale da riempire i rotocalchi di mezzo mondo e da farle meritare l’invito da parte della Presidentessa brasiliana Dilma Rousseff.

Proprio in questo giorni, i rappresentanti degli studenti, tra cui anche la Vallejo, sono stati ricevuti in udienza nel palazzo del Governo, per un nuovo tentativo di conciliazione. Al termine dell’incontro, il Ministro Bulnes si è formalmente impegnato a consegnare il cronogramma di una agenda di lavoro che sarà  poi valutato dagli studenti.

A quasi 30 anni dal golpe militare con cui Augusto Pinochet (11 settembre 1973) rovesciò il governo di Salvador Allende, quella del Cile di oggi è la protesta simbolo di una generazione di precari e senza futuro, frutto di un disagio soprattutto giovanile che, seppur con contenuti e modalità  differenti, quest’anno ha riempito le piazze ad ogni latitudine, dalla Grecia alla Spagna, dall’Inghilterra all’Italia, ma anche Russia, Thailandia, Cina ed Indonesia.


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