Creare posti di lavoro Obama all’ultima sfida con 300 miliardi

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Il piano dovrebbe consistere in un pacchetto di 300 miliardi di dollari in gran parte da spendere in alleggerimenti fiscali e in fondi per lavori pubblici infrastrutturali. In particolare, Obama doveva proporre l’estensione per un altro anno della riduzione di due punti percentuali sulla tassa del 6,2 % che i dipendenti pagano per finanziare la Social Security (l’Inps statunitense), cioè l’estensione per un anno di alleggerimenti fiscali per circa 1.000 dollari a famiglia.
È proposta inoltre l’estensione della tassa sulle imprese e l’infusione di dollari federali in opere infrastrutturali come manutenzione di strade, ponti, ferrovie, aeroporti. Dovrebbero trovare sostegno tra i repubblicani i fondi da 40 a 60 miliardi di dollari per rimettere in sesto le scuole pubbliche (dei singoli stati) e per permettere agli stati in difficoltà  economica di varare nuove opere pubbliche nonostante il debito.
Gran parte di queste proposte ha un lungo passato bipartisan, e la rete delle infrastrutture rischia addiritttura di essere tramandata come la barzelletta del secolo perché è da decenni che se ne parla: ma quasi nulla è stato mai fatto dagli anni ’50, da quando cioè il repubblicano Ike Eisenhower lanciò il programma di rete autostradale federale.
Obama scommette sulla natura bipartisan della sua proposta per farne passare almeno una parte: l’ultima lettera giuntagli dal Presidente della Camera, il repubblicano John Bohner, è molto più conciliante delle precedenti, e questo è visto dalla Casa bianca come il segno che i repubblicani sentono la pressione del proprio elettorato: il lavoro non riesce a trovarlo anche una parte di chi vota repubblicano, presa nella disoccupazione di lunga durata e nell’incapacità  di pagare le rate del mutuo, e tanto meno di liberarsene rivendendo la casa, visto che i prezzi di mercato attuali sono stracciati rispetto al valore a cui le abitazioni erano state ipotecate.
L’esito però non è garantito. Naturalmente solo i sondaggi e la reazione dei repubblicani nei prossimi giorni diranno se Obama ha vinto la sua scommessa, che a priori pareva abbastanza azzardata. Gli ultimi sondaggi danno infatti il presidente in caduta libera nei consensi (solo il 42% degli intervistati approva la sua gestione dell’economia). Tanto più che ormai Obama si è fatto la fama di uno che tiene bellissimi discorsi, ma quanto poi a passare ai fatti, non se ne parla.
Per di più ieri si riuniva per la prima volta il supercomitato bicamerale dei 12 che deve decidere (insindacabilmente) tagli per 1.200 miliardi di dollari dal deficit federale: il rischio è che qualunque stimolo all’economia proposto da Obama venga ripagato (con gli interessi) dal salasso imposto dal supercomitato. Per di più, anche a detta del liberista Financial Times, 300 miliardi di dollari sono davvero pochini per stimolare un economia grande ed esangue come quella Usa: a titolo di paragone, il solo piano di salvataggio immediato per le banche fu di 3.200 miliardi di dollari, mentre la cifra realmente impegnata dallo stato federale Usa nelle varie operazioni di salvataggio finanziario dal 2007 ha superato il Pil annuo statunitense per oltrepassare i 15.000 miliardi.
I repubblicani sono presi anch’essi in un dilemma: se favoriscono la creazione di posti di lavoro, la popolarità  di Obama cresce e diventa più difficile cacciarlo dalla Casa bianca a novembre dell’anno prossimo; ma se la situazione dell’occupazione continua a deteriorarsi, la responsabilità  ricadrà  anche sui neoeletti repubblicani.
L’unica certezza è che con questo piano sull’occupazione Obama sta combattendo la battaglia decisiva per non passare alla storia come il nuovo Jimmy Carter: pessimo presidente di un solo mandato, eccezionale ex presidente.


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