CRISI D’OPPOSIZIONE

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Si naviga a vista mentre i bollettini di guerra di borse e spread si accoppiano alla continua revisione, al ribasso, del Tesoro sulle previsioni di crescita dell’economia italiana. Persino il Fondo monetario internazionale ormai esterna i suoi dubbi con riferimenti espliciti alla capacità  del presidente del consiglio di garantire stabilità  degli equilibri politici e coesione sociale.
Del resto si tratta di dubbi non solo legittimi ma ampiamente confermati da inequivocabili segnali provenienti dal cuore del potere berlusconiano. In una giornata i titoli Mondadori e Mediaset hanno perso centosessanta milioni, un risultato direttamente legato alle fibrillazioni della vigilia del voto su Milanese. Un crollo sul mercato delle aziende presidenziali è utile pro-memoria del conflitto di interessi che opera come una sorta di governo-ombra, nitidamente rappresentato anche dall’ennesimo rinvio delle nomine Rai (direzioni di reti e di testate), da tempo sospese nel limbo di smottamenti imprevedibili. Berlusconi resiste, non molla ma sa bene che salvare le proprie imprese e restare al governo è un unico programma. Per attuarlo dovrà  sparare tutti i colpi di riserva, affrontando una campagna di comunicazione che non prevede prigionieri e ha bisogno di una televisione senza opposizioni credibili, ridotta a voce del padrone. Oggi più di sempre.
Eppure la crisi e l’agonia del centrodestra non trovano una risposta delle opposizioni. Come prigioniere di un perverso effetto-contagio, proprio in questo momento chi dovrebbe rappresentare un’alternativa è invece al massimo della sua afasia politica. Se in campo ci fosse una «manovra della sinistra», una moralità  da spendere per la credibilità  di una nuova classe di governo, potremmo rischiare il successo di una vera inversione di rotta e rompere il recinto della cittadella berlusconiana. Come hanno dimostrato le ultime prove elettorali (amministrative e referendarie) vinte su gambe robuste: un programma di radicale cambiamento, la credibilità  delle leadership che se ne facevano garanti, la prefigurazione di una sinistra sociale e popolare. Assistiamo invece alle passerelle dei soliti noti nei talk-show della sera, spese in una replica infinita dei vizi dell’avversario e delle proprie virtù. Scavalcati a sinistra non solo dalla piazza, come è naturale, ma dagli editoriali del giornalone della borghesia milanese che invoca il ritorno del vecchio Marx («Date a Marx una chance per salvare l’economia mondiale»). Ce lo vedete voi Bersani che cita il filosofo di Treviri quando ha difficoltà  persino a farsi vedere in un comizio con Vendola e Di Pietro per non turbare l’umore di Casini?


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