Cultura e turismo più forti della crisi in 10 anni +53% la spesa delle famiglie

by Sergio Segio | 23 Settembre 2011 6:10

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ROMA – Far cultura paga, anche in tempi di crisi. Non è vero che gli italiani vivono solo di televisione trash: nonostante la difficile situazione economica nel 2010, la spesa delle famiglie per servizi culturali e ricreativi è aumentata del 5,8 rispetto all’anno precedente. E prendendo in considerazione gli ultimi dieci anni, il balzo è stato del 53,7 per cento. E’ rinato il turismo nelle città  d’arte; nei primi sei mesi di quest’anno gli ingressi ai musei sono aumentati del 9,5 per cento. Quindi, considerato che il patrimonio nazionale non conosce concorrenza, puntare sulla cultura anche sotto lo stretto profilo del business conviene e fa crescere il Paese.
Eppure da anni gli investimenti nel settore scendono vorticosamente: meno 15 per cento tra il 2005 il 2009, ma con i tagli previsti in manovra la mannaia potrebbe arrivare al 30. Lo Stato chiude i finanziamenti: nel 2011 è sceso sotto la soglia minima di 1,5 miliardi; i Comuni hanno investito il 3,8 per cento in meno, le Province il 15 e – massacrati come sono gli enti locali dalla Finanziaria – tutto lascia pensare che la caduta continui. Anche le sponsorizzazioni private sono crollate del 30 per cento.
Eppure l’economia culturale cresce. Per non buttare al vento questa ricchezza Federculture, Anci, Upi, Conferenza delle regioni e Legautonomie ieri hanno messo sul tavolo le loro proposte per salvare il settore. «Rischiamo che nel 2012 le città  debbano tagliare l’offerta del 30 per cento – avverte Roberto Grossi, presidente di Federculture – la manovra impatta in termini molto pesanti non solo per il tagli dei trasferimenti agli enti locali, ma anche per una serie di norme che imprigionano e imbrigliano la gestione degli spazi e l’autonomia senza portare nessun vantaggio nella riduzione della spesa». La cultura produce oltre il 6 per cento del Pil ed oltre 1,5 milioni di occupati, di fatti sta tenendo in piedi il turismo. «Il paradosso – dice Grossi – è che a fronte dell’affermazione di un settore che è vivo, vivace e forte, la politica nazionale manca totalmente». Sindaci e operatori ammettono che hanno pesato anche i casi di mala gestione del denaro pubblico (finanziamenti ad improbabili sagre compresi) e sanno che le risorse a disposizione sono più che mai basse. Ma i modi per controllare i progetti – «a breve, anche all’interno delle compatibilità  attuali» – ci sono. Li elenca Andrea Ranieri, responsabile Cultura per l’Anci. «Il decreto di luglio istituisce un Fondo infrastrutture e prevede una riserva del 3 per cento da destinare al settore culturale: basta portarla al 5 per far sì che la dotazione passi dai 30 ai 50 milioni». Inoltre «si può modificare la destinazione dell’8 per mille: ora è indirizzato solo alla conservazione dei beni culturali, andrebbe esteso anche alla conservazione del teatro e della musica colta». Ancora: «Con i fondi Enpals, 300 milioni di euro in attivo, si potrebbe creare una sorta di cassa edile per lo spettacolo». «La cultura non è spreco – precisa Ranieri – e l’ignoranza ha un costo altissimo».

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