DILETTANTI AL POTERE

by Sergio Segio | 1 Settembre 2011 7:18

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L’ultima manovra è durata meno di un giorno. Sono bastate dodici ore per indurre la maggioranza a fare marcia indietro sull’esonero degli anni di laurea e di servizio militare dal computo dei requisiti per la pensione d’anzianità , annunciato con un comunicato dopo il vertice di Arcore.
E ieri la maggioranza non ha presentato gli attesi emendamenti in Commissione Bilancio al Senato. A questo punto mancano tra i sei e i sette miliardi all’appello. La cancellazione del contributo di solidarietà  toglie alla manovra circa 4 miliardi in tre anni. I tagli ai Comuni sono stati ridotti di due miliardi secondo il Presidente dell’Anci (addirittura di 3 miliardi secondo il sindaco di Roma, Alemanno). Nei giorni scorsi il servizio studi del Senato aveva espresso serie riserve sulle stime offerte dal governo circa gli effetti dei nuovi tagli a Ministeri ed Enti Locali (13 miliardi e mezzo a regime in totale) nonché sul gettito dell’ennesima tassa sui giochi (mezzo miliardo). Inoltre il visibile rallentamento dell’economia nel 2011, certificato martedì dall’Istat, e il peggioramento della congiuntura internazionale richiederanno uno sforzo aggiuntivo per centrare il pareggio di bilancio nel 2013. Altri 20 miliardi della manovra, infine, continuano a venire affidati alla norma capestro sul taglio delle agevolazioni fiscali, che colpisce soprattutto le famiglie a basso reddito, una norma che lo stesso Governo dichiara di non voler mettere in pratica e di tenere solo come extrema ratio nel caso in cui non si arrivasse all’approvazione di una imprecisata riforma fiscale e assistenziale. Insomma, a due mesi e mezzo dall’apertura di una crisi di credibilità  drammatica per il nostro Paese, a tre settimane dalla decisione della Bce di intervenire a sostegno dei nostri titoli di Stato a fronte dell’impegno del nostro Governo ad anticipare l’aggiustamento e a più di due settimane dal Consiglio dei ministri che ha impegnato il nostro Paese al pareggio di bilancio entro il 2013, il nostro governo non è ancora riuscito a chiarire come raggiungerà  questo obiettivo, varando una manovra dell’entità  richiesta. Anche se è difficile che la Bce possa a questo punto ritirare il suo sostegno, il suo intervento non è certo illimitato. E il nostro governo sta dando ragione a quel crescente plotone di deputati della Cdu che si oppongono al potenziamento del fondo salva stati mettendo Angela Merkel in minoranza a un mese dal voto al Bundestag. Sta anche offrendo munizioni al Presidente Federale della Germania, Christian Wulff, che mette in discussione la costituzionalità  degli stessi interventi della Bve in acquisto dei nostri titoli di Stato. In altre parole, non solo non stiamo favorendo quel maggiore coordinamento delle politiche fiscali a livello europeo che è fondamentale per risolvere la crisi del debito dell’area Euro, ma addirittura stiamo contribuendo attivamente ad allontanarne la soluzione.
Nel frattempo il Paese si lacera e vive in continua apprensione. Gli italiani respirano ormai un clima da finanziaria permanente, in cui ogni giorno devono stare in guardia e controllare di non trovarsi colpiti alle spalle da qualche provvedimento improvvisato da qualche ministro balneare (non solo nell’improvvisazione con cui interviene, ma spesso anche nell’abbigliamento). Perché il governo ha già  ampiamente dimostrato di non farsi scrupolo alcuno nel colpire in modo anche molto pesante chi non fa parte del proprio elettorato, rinnegando impegni presi con misure retroattive e fortemente punitive al tempo stesso. Ad Arcore è stata la volta dei laureati, tra cui la Lega raccoglie pochi consensi, e dei dipendenti pubblici, che nei sondaggi tipicamente sono orientati verso il centro-sinistra. Ai primi era stato imposto di ritardare il pensionamento fino a sei anni senza che questo prolungamento forzato della carriera lavorativa potesse almeno comportare un incremento della propria pensione futura. È un costo altissimo concentrato su di una platea molto ristretta. I dipendenti pubblici si sono visti, invece, mantenere il contributo di solidarietà  tolto alle altre categorie. È chiaro che queste scelte non possono che apparire inique suscitando l’indignazione anche di chi non è colpito dalla scure dei tagli.
Se il Governo intende intervenire sulla spesa pensionistica, una scelta probabilmente inevitabile dato che rappresenta il 40 per cento della spesa corrente disponibile, le sue scelte devono essere ispirate a spargere i sacrifici su di una platea più vasta possibile, riducendo al contempo le disparità  di trattamento fra generazioni diverse. Una misura che va in questa direzione è l’estensione del metodo contributivo pro-rata a tutti con l’adozione di finestre flessibili di pensionamento tra i 62 e i 67 anni. Il vantaggio di passare al contributivo è che, ritardando l’andata in pensione, il lavoratore, anche quello che avesse già  raggiunto 40 anni di contributi, si vede riconosciuto un incremento della propria pensione di circa il 3 per cento all’anno in termini reali. Molti italiani hanno subito in questi mesi ingenti perdite patrimoniali, dato che non c’è attività  di risparmio, anche tra quelle considerate a basso rischio, o bene rifugio (a parziale eccezione del solo oro) che non abbia subito forti riduzioni del proprio valore in questi mesi.
Lavorando più a lungo e beneficiando poi di pensioni più alte, molti italiani potrebbero ricostruirsi il loro patrimonio per una vecchiaia destinata a durare molto più a lungo di quanto avevano sperato quando avevano iniziato a lavorare. Il tutto senza doversi vedere riconoscere miglioramenti retributivi per aumentare le proprie pensioni. Non si dica che questo renderebbe più difficile il riassorbimento della disoccupazione giovanile. Al contrario, come mostra l’esperienza internazionale, gli ultrasessantenni hanno un ruolo cruciale nel facilitare l’ingresso produttivo dei giovani nel mondo del lavoro. Del resto basta guardare a casa nostra per rendersi conto che abbiamo due primati poco invidiabili: quello della quota più alta di giovani che non lavorano e non studiano al tempo stesso e quello di chi ha vite lavorative più brevi. Lavorando più a lungo possiamo ridurre la pressione fiscale che grava sui giovani e aumentare assunzioni e rendimento dell’istruzione fra chi ha meno di 24 anni.

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