Donne, anticipato al 2014 l’aumento (graduale) dell’età 

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Per le impiegate nel pubblico il nuovo requisito entrerà  in vigore già  dal 1° gennaio prossimo, la decisione risale alla scorsa estate. Ma per il settore privato c’è stata un’accelerazione a partire dal decreto di luglio.
Inizialmente era stato stabilito che l’innalzamento dell’età  pensionabile rosa cominciasse nel 2020. La relazione tecnica alla prima manovra aveva stimato risparmi per 145 milioni nel 2021 «progressivamente crescenti» fino allo «0,4% del Pil nel 2031-2040», cioè 6,5 miliardi a valori attuali. Però era luglio e subito dopo i mercati hanno detto all’Italia che sui conti doveva fare di più. Nella manovra-bis del 13 agosto si ipotizzò di far salire gradualmente l’età  a partire dal 2016 per arrivare al completamento della riforma nel 2028. In questo caso veniva stimato un ulteriore risparmio: 112 milioni nel 2017, 320 milioni nel 2018, 565 milioni nel 2019, 1,2 miliardi nel 2020, 1,8 miliardi nel 2021. A questo punto, con la norma decisa ieri, questi risparmi verranno anticipati già  al 2015.
Ma «i provvedimenti si mescolano», fa presente Sergio Sorgi, vicepresidente di Progetica, perché bisognerà  tenere conto anche degli adeguamenti periodici alla speranza di vita stimati dall’Istat. Nel 2026, anno di completamento del passaggio a 65 anni stabilito ieri, una donna per andare in pensione dovrà  avere 67 anni e 3 mesi nello scenario peggiore, oppure 65 anni e 9 mesi in quello più ottimistico. A voler poi guardare il futuro delle giovani trentenni, il momento del ritiro dal lavoro si allontana di molto. La pensione di vecchiaia arriverà  a 70 anni e 9 mesi (ritiro previsto, dunque, nel 2046).
Certo, l’età  non è l’unico parametro per calcolare il momento dell’addio al lavoro. C’è il sistema delle quote che regola il pensionamento di anzianità . Attualmente e fino a tutto il 2012 si può lasciare l’impiego con quota 96, avendo cioè 36 anni di contributi e 60 di età  oppure 35 di contributi e 61 di età  (per gli autonomi la quota è 97). Mentre dal 2013 la quota salirà  a 97 per i dipendenti (36 anni di contributi più 61 anni di età  oppure 35+62) e 98 per gli autonomi.
L’innalzamento dell’età  pensionabile per le donne avrà  inevitabilmente una ricaduta sociale. «Ogni provvedimento che tocca il Welfare — sottolinea Sorgi — ha un impatto sulla società . E poiché ormai le donne non sono solo madri ma hanno anche il ruolo di accudire i genitori anziani, tale decisione avrà  un peso notevole». Nel pubblico l’equiparazione partirà  già  del 2012 ed è il risultato del pressing europeo. Il 3 giugno di un anno fa, infatti, la Commissione europea invitò con una dura lettera il governo italiano a rendere immediatamente operativa la sentenza del 2008 che imponeva l’equiparazione previdenziale tra uomo e donna. Ma «la richiesta europea — obietta Sorgi — era di non discriminare le donne sul lavoro e questo sarebbe stato possibile rendendo flessibile l’età  pensionabile». A questo punto, l’iter per uniformare i requisiti tra uomini e donne per ritirarsi dal lavoro è avviato: il punto d’arrivo per le pensioni di vecchiaia sarà  65 anni a cui dovrà  essere aggiunto l’incremento legato alla speranza di vita.
A futura memoria dei tempi passati restano le pensioni baby, mezzo milione — secondo il Casellario centrale dei pensionati 2001 — liquidate a lavoratori con meno di 50 anni d’età  che costano allo Stato circa 9,5 miliardi di euro l’anno. Attualmente l’età  media di questo mezzo milione di baby pensionati sta tra 63,2 anni (per chi ha lasciato il lavoro tra i 35 e i 39 anni) e 67 (per chi ha smesso tra i 45 e i 49 anni): stanno incassando l’assegno da 18-24 anni e continueranno per circa altri quindici anni (considerata la spettanza di vita).


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