Germania, sulle ceneri di Angela l’Spd ritrova un leader vincente

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BERLINO – Si chiama Steinbrueck, Peer Steinbrueck. È freddo, severo e sgobbone come l’austera Amburgo dove è nato. Non vuole essere né brillante né cool, detesta la politica-spettacolo, venera il senso dello Stato, vede nella politica un mestiere in cui si vince con la serietà , dicendo le verità  più spiacevoli.
Helmut Schmidt, ancora oggi l’ex cancelliere più amato e rimpianto, è il suo mentore. Niente festini né chiacchiere su love story, niente ville in Toscana o Sardegna né amicizie e vacanze con i Putin di turno: il suo hobby sono gli scacchi, resta lontano dalla Berlino mondana. Abita ancora nel villino di famiglia a Bad Godesberg, periferia elegante della sonnolenta ex capitale Bonn, con Gertrud, la moglie con cui ha cresciuto tre figli. Curriculum noioso da mister perfettino, direbbero gli strateghi delle campagne elettorali in tutto il mondo. Eppure questo 64enne protestante, sobrio fin quasi al grigiore persino nel vestire, comincia a far tremare la donna più potente del mondo. È diventato il politico più popolare di Germania, e con lui, in un’Europa dove quasi ovunque la sinistra è all’opposizione, il suo partito più antico, la Spd tramortita da anni riscopre la speranza.
C’è anche l’onda lunga della sua ascesa, dietro il declino di Angela Merkel. I sondaggi parlano chiaro: con indice di gradimento 58 contro 57 Peer Steinbrueck ha strappato ad “Angie” il lungo primato di politico più stimato. Se si votasse domenica per il rinnovo del Bundestag, la Cdu-Csu della cancelliera resterebbe primo partito di misura col 32%, ma da sola, visto il crollo annunciato dei liberali. La Spd al 28% e i Verdi al 21 potrebbero governare insieme anche senza l’8% della Linke, ma solo con un forte candidato cancelliere. E se il partito aspetta, ci ha pensato l’insospettabile Bild – il quotidiano popolare più letto d’Europa, proprietà  dell’editoriale conservatrice Springer – a incoronarlo: è l’unico a sinistra che può conquistare i voti del centro e i cuori dei tedeschi.
Reincarna a sinistra le luterane virtù della Prussia illuminista e della democrazia del dopoguerra. Piace il suo attendibile rigore, nella Germania esposta alla crisi dell’euro e all’incubo-recessione. «La Svizzera copre gli evasori fiscali? Beh, a volte serve il bastone, non la carota. O collaborano o gli mando il settimo cavalleggeri», disse quando era ministro delle Finanze della Grosse Koalition, minacciando missioni segrete della tributaria. Da allora, quando lavoravano d’amore e d’accordo, Angela Merkel ha imparato a stimarlo e a temerlo. Berna protestò, poi alzò bandiera bianca. Nel 2008, fu lui a salvare banche e industrie tedesche dalla crisi internazionale.
Non sa essere imperiale come Mitterrand, né spregiudicato come Tony Blair. Ma in una sinistra europea che a Madrid attende la sconfitta, a Londra spera nei fratelli-rivali Miliband, a Parigi è divisa, la rimonta può cominciare da Berlino. Come Helmut Schmidt, come e più di Gerhard Schroeder, il suo secondo nume tutelare, Steinbrueck convince perché parla duro, senza promesse a vuoto. «Cari industriali, vi conosco, altro che meno tasse, non vorreste pagarle per niente», dice spesso a platee di imprenditori. Lingua tagliente anche per ceto medio e popolino: «Sì sì, tutti chiedete meno burocrazia, ma appena il cane dei vicini la fa nel vostro giardino volete norme spietate».
Se fosse cancelliere, questo degno pronipote d’uno dei fondatori della Deutsche Bank sotto il Kaiser ha già  detto cosa farebbe: sì agli eurobond (almeno lo dice adesso), ma con un’Europa politica più forte e centralista. Intesa coi sindacati ma riforme severe al welfare. Più tasse per i ricchi, senza sgravi per i poveri «perché non possiamo permettercelo».
Steinbrueck contro Merkel, il duello è annunciato. Partita ardua, e “Angie” sa che la sconfitta più dura il suo ex ministro delle Finanze la incassò a scacchi nel 2005. Ma l’avversario era Vladimir Kramnik, campione del mondo.


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