I clan condannati «Danno all’immagine dei Comuni lombardi»

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MILANO — Riguarda uno soltanto dei 160 arrestati nel blitz di ‘ndrangheta al Nord del 5 luglio 2010. Eppure la sentenza per uno degli esecutori dell’omicidio di Carmelo Novella a San Vittore Olona il 14 luglio 2008, stilata dal giudice Claudio Castelli, contiene tre decisioni battistrada. È la prima sentenza che certifica, come giudicato di primo grado e non più solo come ipotesi investigativa dei pm milanesi Boccassini-Dolci-Storari, «la diffusione capillare della ‘ndrangheta in Lombardia» nell’assetto fotografato appunto dalla loro operazione Infinito (in tandem con quella istruita a Reggio Calabria dal procuratore Pignatone), e cioè «con la creazione di strutture organizzative in 16 Comuni del Milanese, della Brianza, del Comasco e del Pavese», con «una chiara gerarchia» in «rapporti organici e continuativi» ma anche «complessi e variegati» con la casa madre calabrese.
La sentenza sancisce poi l’affidabilità  del primo collaboratore di giustizia nella ‘ndrangheta a Milano dopo molti anni, il killer Antonino Belnome, arrestato quand’era capo della «locale» di ‘ndrangheta di Seregno: le sue dichiarazioni «hanno permesso di aprire un nuovo spaccato» e vengono perciò premiate dalla «concessione dell’attenuante speciale della collaborazione» che, combinata allo sconto del rito abbreviato, fa scendere a 11 anni e 6 mesi la pena per l’imputato difeso dall’avvocato Eugenio Briatico.
E infine la sentenza riconosce un risarcimento ai Comuni (10.000 euro come provvisionale immediatamente esecutiva a Seregno e Giussano) «per l’eclatante danno di immagine» arrecato dal fatto che «comunità  locali operose e fattive, e quindi la loro rappresentanza istituzionale, possano essere associate alla presenza di organizzazioni criminali e al pericolo derivante dai reati da esse commessi».
Il movente dell’omicidio, 5 colpi di pistola nel bar «Reduci e Combattenti» esplosi da due killer che avevano appena ordinato «un cappuccino bianco», è stato individuato «nel progetto, elaborato e perseguito da Novella nell’ambito dell’organizzazione criminale, di rendere autonoma la ‘ndrangheta della Lombardia, recidendo la dipendenza delle “locali” dalle cosche originarie».
L’inchiesta è un interessante caso di incrocio tra investigazione pura (che da tre fotogrammi sfocati di una moto e dall’esame delle celle telefoniche era riuscita da sola a risalire a Belnome) e la successiva decisione dell’arrestato (che all’inizio aveva negato e fatto muro) di collaborare con i pm, chiamare in causa come altro killer Michael Panaja e come mandante Vincenzo Gallace, «confessare un ulteriore omicidio per il quale non sarebbe mai stato indagato», e «riferire mandanti ed esecutori di diversi omicidi commessi in Calabria in epoca recentissima nella faida tra i Gallace/Ruga e i Sia/Vallelonga».
«Ho deciso di collaborare con la giustizia perché ho capito che nella ‘ndrangheta non c’è futuro, sono troppe le invidie e gelosie e tutto ciò è a rischio della propria vita — ha esordito Belnome ai pm — Lo faccio anche per assicurare un futuro diverso ai miei figli e alla mia compagna: voglio che i giovani evitino di fare la mia stessa scelta sbagliata»
I processi ai 160 arrestati nel blitz, intanto, ad un solo anno dagli arresti viaggiano a ritmi non comuni: quello con rito abbreviato davanti al gup Arnaldi si concluderà  entro fine anno, mentre un nutrito calendario di udienze scandisce il rito ordinario per gli altri imputati davanti al Tribunale presieduto da Luisa Balzarotti.
Luigi Ferrarella


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