I pm resistono: l’inchiesta a Napoli

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NAPOLI — Inattendibile e lacunosa. Così i pm napoletani definiscono la memoria inviata in Procura da Silvio Berlusconi per evitare di essere interrogato come teste nell’inchiesta sulla presunta estorsione ai suoi danni compiuta da Gianpaolo Tarantini, da sua moglie Angela Devenuto e da Valter Lavitola.

Nell’istanza rivolta ieri al giudice delle indagini preliminari Amelia Primavera affinché revochi il provvedimento con cui due giorni fa ha fissato a Roma la competenza territoriale dell’inchiesta, i sostituti Curcio, Piscitelli e Woodcock scrivono che «inattendibilità  e ricercata lacunosità » della memoria emergono «dalla stessa volontà » di Berlusconi «di sottrarsi alla doverosa» testimonianza. «Tale condotta induce a ritenere che la sua ricostruzione dei fatti non sia né completa, né documentata, né certamente attendibile e anzi appare deliberatamente creata in modo funzionale a procrastinare il momento del chiarimento dei fatti anche attraverso lo spostamento del processo ad altra sede».

Con la richiesta inoltrata al gip, e depositata al tribunale del Riesame — dove ieri si è aperta l’udienza sul ricorso presentato dai legali di Tarantini (Alessandro Diddi e Ivan Filippelli) e Lavitola (Gaetano Balice) — la Procura prova a evitare che l’inchiesta sull’estorsione a Berlusconi venga trasferita in un’altra città  prima che siano raccolti tutti gli elementi necessari per stabilire la competenza territoriale. Il giudice Primavera ha ritenuto di individuare a Roma tale competenza quando è stata chiamata a valutare la richiesta di concessione degli arresti domiciliari presentata da Tarantini. Nell’esprimere il proprio parere favorevole, la Procura aveva allegato non tutti gli atti dell’inchiesta, ma solo quelli che a parere dei pm potevano servire al giudice per valutare la posizione dell’indagato alla luce dell’attività  istruttoria successiva al suo arresto. Ma sulla base di quella documentazione parziale il gip ha ravvisato la propria incompetenza territoriale, finendo per non decidere sulla scarcerazione di Tarantini e disponendo l’invio dell’intera inchiesta a Roma. È nella Capitale, infatti, che Berlusconi sostiene di aver dato a Lavitola il denaro destinato a Tarantini (non perché ricattato ma per aiutare spontaneamente una famiglia in difficoltà , dice il premier), ed è a palazzo Grazioli — quindi sempre a Roma — che la segretaria di Berlusconi, Marinella Brambilla, ha dichiarato ai pm di aver consegnato soldi a un emissario di Lavitola. E il gip ha ritenuto credibili queste ricostruzioni.

Ora quindi la Procura ha inviato al giudice Primavera tutte le carte dell’inchiesta, ma non solo. Nelle dieci pagine con cui chiede la revoca del provvedimento entra nel merito di quanto dichiarato dalla Brambilla (che riferisce episodi avvenuti tra maggio e giugno scorsi, mentre l’estorsione sarebbe iniziata nell’autunno 2010, e la competenza territoriale va fissata in base al luogo dove il reato è stato commesso per la prima volta), ma soprattutto sulla memoria di Berlusconi che «stranamente», scrivono i pm, non ricorda quanti soldi ha dato a Lavitola né quando glieli ha dati, ma «sembra ricordare perfettamente che tutte le somme destinate a Tarantini siano state erogate e consegnate in Roma», come a voler suggerire la Procura competente.

I pm sottolineano anche i recenti sviluppi investigativi cui sono giunti insieme ai loro colleghi di Lecce e che hanno portato all’iscrizione del procuratore di Bari Antonio Laudati nel registro degli indagati della Procura salentina per abuso d’ufficio. Della gestione delle indagini su Tarantini e il suo giro di escort, all’origine di questo filone d’inchiesta, parlerà  oggi Laudati nell’audizione che lo aspetta al Csm, mentre torna d’attualità  un altro tentativo di spostare un processo in cui è coinvolto Berlusconi, quello sul caso Ruby: con un memoriale firmato dal suo capo Edmondo Bruti Liberati e inviato alla Corte Costituzionale, la Procura di Milano chiede alla Consulta che il conflitto con cui la Camera vuole ottenere il trasferimento degli atti al Tribunale dei ministri venga dichiarato inammissibile o infondato.


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