Il mostro dello Jonio

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 CROTONE.Trafelato, il mostro è arrivato di notte. Ma già  alle prime luci dell’alba del 5 settembre si stagliava imponente sulle acque del mar Jonio. Non era uno squalo, una balena o un pescecane. E nemmeno il mostro di Lockness. Era un gigante di metallo, una piattaforma dalle lunghe leve e dalle immense torri. La piattaforma offshore tipo Jack up della Gsf Key Manhattan è, da allora, installata, accanto alla piattaforma fissa dell’Eni, la Hera Lacinia Beaf, e rimarrà  in mare «quattro mesi per interventi di manutenzione ai pozzi». Così assicurano i funzionari del colosso energetico. Ma i precedenti sono ben poco rassicuranti. Sono quasi quarant’anni, infatti, che Eni conduce una campagna di estrazione metanifera a dir poco massiccia, con una produzione di metano pari al 15,8% del fabbisogno nazionale ed un quantitativo di circa 17 miliardi di metri cubi standard all’anno. La compagnia si era impegnata negli accordi col Comune di Crotone a «fornire gas a prezzo ridotto, contributi per la cultura, sostegno alle azioni di sviluppo del territorio, coinvolgimento del Comune nelle attività  di monitoraggio della subsidenza e valutazione dei risultati». Ma, ad oggi, di questo gas a prezzo scontato nessuno ancora ha goduto e, nel mentre, i cittadini di Crotone, beffa tra le beffe, pagano tra le bollette più care d’Italia. Come se non bastasse, le royalties, vale a dire le risorse che l’Eni rimette alle regione per l’utilizzo dei giacimenti di idrocarburi nelle acque antistanti le coste, si sono dimezzate nel corso degli anni. Da ultimo (ma non per ultimo) c’è la spinosa questione della bonifica, un conto salatissimo per Crotone in termini di inquinamento dopo 70 anni di industrializzazione. Che Eni in questi anni ha dimostrato di non voler pagare.

Un pozzo senza fine
Incuranti della subsidenza (fenomeno geologico che sta facendo sprofondare ed erodere lentamente il territorio del crotonese), dovuta in larga parte all’azione decennale di perforazione ed estrazione di gas metano, Eni e la sua società  Ionica Gas, oltre alla piattaforma, han pensato bene di realizzare anche un altro pozzo di estrazione metanifera. Che ha trovato casa nel bel mezzo dell’Area Marina Protetta Crotone-Capo Rizzuto, una tra le più grandi d’Europa. Il nuovo pozzo si trova a circa 10 chilometri dalla costa cittadina, tra Alfieri e Capo Cimiti, uno dei tratti di mare più belli e suggestivi del crotonese, ed è stato approvato tramite apposita ordinanza dal Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio del Mare. A ridosso del parco archeologico, a due passi dalla “zona sacra” dedicata alla dea greca Hera, dove è ancora visibile l’unica colonna dorica del tempio greco a lei intitolato, sulla scogliera che guarda la città , alle spalle di un agriturismo. Insomma, trivellazioni in Zona agrituristica (come si legge nel Piano regolatore) con tanto di beneplacito del Comune, della Provincia, della Sovraintendenza archeologica regionale, della Soprintendenza ai beni archeologici e paesaggistici nazionale, delle commissioni tecniche di Valutazione di Impatto Ambientale. Oltre ovviamente ai ministeri competenti (Ambiente e Beni Culturali) che, nonostante i vincoli imposti dalla presenza del parco marino che si estende da Capo Colonna a Praialonga di Capo Rizzuto, e con il parco archeologico ad un centinaio di metri, hanno emesso giudizi positivi di compatibilità  ambientale e archeologica.
La politica langue, i magistrati no
Di fronte a uno scempio del genere, con un intero territorio divenuto terra di conquista (senza nessuna ricaduta occupazionale ed economica), la politica locale assiste immobile al saccheggio. E non potrebbe essere altrimenti. Da queste parti l’Eni ha un’influenza enorme. E tra parcelle d’oro, consulenze oliate, incarichi ben remunerati il cane a sei zampe ha messo sempre lo zampino per colonizzare un’intera area, spalleggiato da una classe politica prezzolata. Poche le voci contro nello stucchevole coro bipartisan. Come quella di Ubaldo Schifino, capogruppo Pd alla provincia di Crotone, che (in contrapposizione al suo partito) ha duramente criticato l’operazione: «Eni non può continuare a perseguire i propri ed esclusivi interessi economici, facendo leva su faccendieri nazionali e locali senza scrupoli, mettendo a repentaglio l’inestimabile patrimonio storico-archeologico della città  con eventuali fenomeni di subsidenza che possono determinare eventi sismici. È ora di mobilitarsi». Ma per ora si è mobilitata solo la Procura. «Sento il dovere etico e civico di fare luce su questa vicenda» ha dichiarato il Procuratore capo, Raffaele Mazzotta. «Abito davanti al mare e un giorno mi sono affacciato e ho visto questa cosa (la piattaforma offshore, ndr). Di notte poi è forte e insistente il rumore delle navi. E così ho deciso di aprire un fascicolo». Mazzotta ha compiuto di persona un’uscita in mare su una motovedetta della Capitaneria di porto, a cui ha affidato un’indagine conoscitiva. «Voglio capire due cose. Intanto voglio sapere se corrisponde al vero che la piattaforma Hera Lacinia Beaf oltre alla manutenzione farà  trivellazioni a raggiera con un sistema di cerchi concentrici per ampliare eventualmente un pozzo o piuttosto andare alla ricerca di altri giacimenti. La seconda problematica è quella del nuovo pozzo previsto sul promontorio di Capo Colonna a pochi metri dall’area marina protetta e dal parco archeologico. Bisogna tutelare questi siti per la notevole valenza che hanno e verificare se si stanno compiendo ipotetiche illegalità ». Gli inquirenti hanno già  acquisito elementi conoscitivi sulle modalità  operative, tecniche ed autorizzative dei lavori in corso. In particolare, Mazzotta ha delegato la Capitaneria a compiere attività  di indagine per verificare eventuali ipotesi di reato (ad esempio abuso d’ufficio) sottese alla natura dei lavori in via di svolgimento e all’iter autorizzativo.
Sfruttamento intensivo
L’uno-due dell’Eni (piattaforma offshore e pozzo estrattivo) ha colto di sorpresa gli ambientalisti. Che tuttavia sono pronti a lanciare una grande manifestazione regionale a novembre che colleghi l’emergenza rifiuti allo sfruttamento energetico. «Da oltre ottanta anni la nostra provincia ha registrato uno sviluppo economico, se così lo si può definire, incentrato sullo sfruttamento intensivo delle risorse naturali e del patrimonio ambientale – spiega Filippo Sestito dell’Arci di Crotone – e la presenza di Eni, in primis con industrie del polo chimico, ha provocato un inquinamento fortissimo a danno dei lavoratori, del suolo ed sottosuolo interessato dagli impianti, dello specchio di mare adiacente, delle falde acquifere e dell’aria che respiriamo. Senza dimenticare il disegno criminale di smaltimento illegale dei materiali di risulta di quelle produzioni chimiche, utilizzati per costruire edifici pubblici e privati. Tutto ciò senza alcuna volontà  da parte di Eni, di bonificare ciò che ha colpevolmente inquinato». Da qui una presa di posizione netta, da parte dell’Arci e dei movimenti a difesa del territorio, contro l’Eni, colosso dell’energia a partecipazione statale (l’Eni è controllata in parte dal Ministero del Tesoro), primo responsabile dell’inquinamento e dello sfruttamento energetico nel crotonese. Contro le politiche di sfruttamento intensivo del territorio, attraverso ulteriori impianti di estrazione, che Eni intende perseguire. Contro qualsiasi ulteriore costruzione od ampliamento di pozzi ed impianti per l’estrazione, che siano essi a mare o a terra.
«Prima di qualsiasi ulteriore intervento – interviene Ciccio Perri della Rete Difesa del Territorio calabrese – è necessario che Eni paghi i lavori della bonifica dei siti che ha inquinato per fare profitti (quantificati in 2.720 milioni di euro), garantendo la copertura economica a tutti gli interventi tecnicamente indispensabili al risanamento della terra, dell’aria e dell’acqua. È imprescindibile che tutte le decisioni, le autorizzazioni e le scelte che riguardino la tutela dell’ambente e della salute, siano prese attraverso la partecipazione diretta di tutti i cittadini di Crotone. È finito il tempo degli accordi a perdere, siglati per l’interesse di pochi e nel chiuso di qualche stanza. È questo l’avvertimento che vogliamo fare a chi, nel pubblico e nel privato, autorizza e fa da sponda a tali forme di sfruttamento del nostro territorio, così come accaduto fino ad ora».
Insomma, l’Eni è avvertita e parafrasando un suo slogan pubblicitario, l’energia (di opposizione sociale) messa in circolo a Crotone le si può ritorcere contro.


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