Il premier, il piano privatizzazioni e «quota 90»

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ROMA — «Quota 90» è l’obiettivo ambizioso quanto arduo del centrodestra, l’ultima e unica carta a disposizione per non consegnare il Paese alla recessione e non consegnarsi alla sconfitta nelle urne. «Quota 90» è la soglia entro cui riportare il debito pubblico in modo da rilanciare l’economia e risalire nei consensi. Perché è vero che la manovra non è stata ancora approvata, ma nella maggioranza già  si discute dei prossimi provvedimenti. Tutti sanno che non basterebbe tenere in ordine i conti dello Stato per affrontare quello che Napolitano ha definito «il tema drammatico e stringente della crescita». Così prende corpo l’operazione di cui s’intuiscono i contorni nell’iniziativa del Tesoro, che entro la fine del mese intende organizzare un seminario per la «valorizzazione e dismissione» del patrimonio dello Stato, dagli immobili alle concessioni, alle municipalizzate trasformate in società  per azioni.
L’azione di Tremonti è anche l’effetto di una spinta che parte dall’interno del Pdl, dove già  ad agosto — nei giorni convulsi in cui veniva elaborata la manovra d’emergenza — si era iniziato a discutere sulla necessità  di intervenire drasticamente sul debito. Ce n’è traccia in due report trasmessi nel mese scorso a Berlusconi da Verdini: nel primo il tema viene affrontato sotto il profilo politico, nel secondo sotto l’aspetto economico. È un piano choc dettagliato — con tanto di voci e cifre a margine — che punta a tagliare il debito di 400 miliardi: si va dalla vendita dei «gioielli di famiglia dello Stato» (che frutterebbe circa 140 miliardi), alla dismissione delle utilities locali (una decina di miliardi); dall’alienazione del patrimonio immobiliare con tanto di risparmio calcolato sulla manutenzione (un centinaio di miliardi), alle cessione delle aree dove insistono immobili su terreni demaniali (una trentina di miliardi).
Così si scenderebbe a «quota 90», e abbattendo lo stock del debito — con un forte risparmio sugli interessi — si avrebbero anche le risorse per interventi a favore di imprese e famiglie: «Così — è scritto nel report politico — troveremmo ad esempio i soldi per il quoziente familiare, che garantirebbe l’alleanza con l’Udc. Così risaneremmo l’economia e rivinceremmo le elezioni». I documenti trasmessi dal coordinatore del Pdl al premier sono stati anche discussi nel partito. In questi giorni a parlare del piano sul debito è stato il vice capogruppo alla Camera, Corsaro, che ha dato voce a un dibattito in atto ai vertici di Via dell’Umiltà .
Tenere in ordine i conti dello Stato con il pareggio di bilancio non basta, se è vero che — nonostante la manovra — lo spread dei Btp dai Bund continua ad aumentare, bruciando risorse e speranze di ripresa: il problema è la competitività  rispetto agli altri Paesi europei. Perciò, come ha ammesso l’altro coordinatore del Pdl, La Russa, «il nodo del debito va sciolto. Di conseguenza è ineludibile affrontare la questione delle dismissioni. D’altronde, se una famiglia non ha più soldi, deve vendere la casa ereditata dalla nonna». «E la crisi è una straordinaria occasione per la rivoluzione liberale», aveva scritto in agosto Verdini al Cavaliere, senza reticenze: «O si riduce il corpaccione dello Stato o non ci saranno risorse per far nulla. La manovra da sola rischia di diventare la tomba politica del centrodestra».
Il Pdl ne è consapevole, e attorno al progetto si discute. Ma è un passaggio molto complicato. C’è chi ragiona su ipotesi di patrimoniale (che però fa venire l’orticaria al premier), chi rilancia un intervento sulle pensioni (che però fa venire il maldipancia alla Lega), e chi accenna all’idea di un condono fiscale e previdenziale tombale, come ultimo atto dopo il varo della riforma tributaria. Tutto comunque servirebbe per ridurre il debito e conquistare «quota 90», vissuta come una sorta di «quota salvezza» per l’Italia e «quota scudetto» per il centrodestra, se è vero che il segretario del Pdl Alfano — nelle riunioni di partito — ha ammesso che «questa potrebbe essere la scossa» di cui il sistema economico e la maggioranza hanno bisogno, sottolineando come «le politiche per la crescita sono necessarie per intercettare di nuovo il consenso dei ceti produttivi e dei cittadini».
Il primo passaggio delicato sarà  la legge di Stabilità  che andrà  varata in ottobre. E già  si avvertono le tensioni, perché nel Pdl nessuno è più disposto ad accettare a scatola chiusa i provvedimenti di Tremonti. Il premier che si definisce «il capo del partito della crescita», e che mira alla riforma del fisco per rilanciarsi, si rende conto che il taglio al debito è l’unica e ultima carta a disposizione. Peccato che altre carte — quelle giudiziarie — rischino di travolgere lui e il ministro dell’Economia…


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