Il pressing americano del tandem Obama-Geithner ora “tenta” Eurolandia

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Potenza della paura? L’improvvisa “apparizione” di una nuova entità  da 3.000 miliardi di euro per salvare dal default Stati sovrani e banche dell’eurozona è parsa una risposta alle frenetiche pressioni degli Stati Uniti. Ancora ieri Barack Obama è tornato alla carica con toni allarmati: «La crisi del debito in Europa sta spaventando il mondo intero, gli europei non reagiscono abbastanza in fretta». Se quei 3.000 miliardi si materializzeranno davvero, allora non è stato inutile questo pressing estremo di Washington: le telefonate a ripetizione di Obama ad Angela Merkel; il suo segretario al Tesoro Tim Geithner che prima si è auto – invitato al vertice Ecofin in Polonia, poi ha movimentato il weekend del Fondo monetario paventando ad alta voce «bancarotte a cascata, assalti agli sportelli delle banche». E in effetti è proprio un “piano-Geithner” quello che i leader europei hanno cominciato a considerare durante il summit di Washington. Il modello infatti è il fondo Talf che gli americani usarono nel 2008 per ripulire le loro banche dai “titoli tossici” legati ai mutui subprime. Il balzo dai 440 miliardi di dotazione dell’attuale fondo Efsf, fino ai 3.000 evocati a Washington, è tutto dovuto all’effetto-leva. Proprio come Geithner andava suggerendo agli europei da due settimane, con queste considerazioni: «I vostri 440 miliardi sono sufficienti solo se i default restano circoscritti a Grecia, Portogallo, Irlanda; ma se invece il contagio lambisce Italia e Spagna, o grandi banche come quelle francesi, avrete bisogno di un multiplo di quella cifra». Il multiplo si ottiene in due modi. Il primo: si trasforma il fondo salva-euro Efsf in una vera e propria banca, che sulla base di un capitale di riserva di 440 miliardi può prenderne in prestito molti di più dalle banche centrali, dai fondi sovrani dei Bric, perfino da hedge fund e investitori privati. La seconda opzione consiste nel trasformare l’Efsf in una sorta di polizza assicurativa che garantisce il valore dei bond italiani e spagnoli, offrendo così un paracadute d’oro a tutti gli investitori che vorranno comprarli. In entrambe i casi, l’effetto-leva può consentire il balzo dai 440 miliardi a una potenza di fuoco sette volte superiore (o anche di più). Lo scatto decisionista, sarebbe venuto dagli argomenti convincenti che gli americani hanno messo in campo: se dopo la Grecia tocca all’Italia, hanno detto Obama e Geithner, si precipita verso una nuova recessione globale. Aggravata da una nuova crisi sistemica del settore bancario: le sole banche dell’eurozona avrebbero già  oggi bisogno, per compensare le perdite sui bond pubblici dei Pigs, di iniezioni di capitali fino a 500 miliardi di euro.
L’euforìa iniziale con cui è stata accolta dai mercati la «lieta novella» emersa da Washington, sembra sottovalutare gli enormi ostacoli che si frappongono tra l’attuale Efsf e la sua eventuale metamorfosi nel “piano Geithner” da 3.000 miliardi. Il primo ostacolo sta in Germania. La Corte costituzionale tedesca ha respinto il ricorso contro il fondo salva-euro, ma ha riconosciuto la costituzionalità  dell’Efsf solo nella sua versione attuale che ne limita l’operatività : può erogare prestiti a tassi agevolati a Grecia Portogallo e Irlanda, non all’Italia o alla Spagna.
Qualsiasi trasformazione nei compiti di quel fondo, ha stabilito la Corte, dovrà  essere approvata dal Bundestag. Cioè la stessa Camera che questo giovedì deve ratificare il “vecchio” Efsf, e che potrebbe ritrarsi sgomenta di fronte a un’ipotesi di moltiplicarne ruoli e dimensioni. Altri paesi, dall’Olanda alla Finlandia, hanno opinioni pubbliche almeno altrettanto recalcitranti nei confronti dei “salvataggi nel Mediterraneo”. Dentro la stessa Bce, che potrebbe essere chiamata a contribuire all’effetto-leva, ci sono resistenze profonde. In quanto ai Bric: «Vedere cammello». I cinesi non sembrano avere fretta di lanciare il proprio fondo sovrano in avventure simili a quelle del 2008 a Wall Street, di cui non conservano un buon ricordo. In Russia il ministro delle Finanze che aveva promesso aiuti all’eurozona è stato silurato proprio ieri da Medvedev (sia pure per altre ragioni).
Intanto rischia di passare in secondo piano “l’altra metà ” dell’appello di Obama all’Europa. Il presidente americano non si stanca di dire che il segno delle politiche economiche attuali è recessivo, e senza una spinta alla crescita il peso dei debiti non può che aggravarsi.


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