L’America al capezzale Ue piano Geithner per rafforzare il fondo salva-Stati europeo

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NEW YORK – «Abbiamo interesse ad aiutare l’Europa, in gioco c’è la nostra ripresa». Così il segretario al Tesoro Usa, Tim Geithner, ha spiegato l’inusuale decisione di “auto-invitarsi” al vertice Ecofin di oggi in Polonia. Ci arriva con un pressante suggerimento dall’Amministrazione Obama: il fondo salva-Stati (Efsf) non ha dimensioni adeguate, i paesi dell’eurozona devono «usare l’effetto leva per moltiplicarne le dimensioni, come gli Stati Uniti fecero nel 2008-2009». Cioè usare la dotazione iniziale come una garanzia per raccogliere altri fondi, con un meccanismo moltiplicatore. La proposta Geithner nasce da un preciso timore della Casa Bianca: se dietro la Grecia dovesse rendersi necessario salvare dal default paesi come Italia e Spagna, oppure grandi banche francesi, l’attuale dotazione del fondo speciale europeo si rivelerebbe del tutto insufficiente. Questo aggrava le preoccupazioni degli Stati Uniti relative al rischio di crac bancari nell’eurozona.
Sono queste preoccupazioni il retroscena che spiega l’intervento concertato delle banche centrali avvenuto ieri. Da giorni infatti c’era un tam tam che giungeva da Wall Street, sui segnali di estrema difficoltà  per alcuni grossi istituti di credito europei. Di fatto – gli americani avvertivano – si era creata una vera e propria “penuria di dollari” nelle maggiori banche europee. Normalmente le aziende di credito dell’eurozona, per approvvigionare in dollari i propri clienti (in particolare le grandi imprese industriali che fanno import-export e investimenti in tutto il mondo) se li procurano sul mercato interbancario qui negli Stati Uniti. Ebbene, proprio quel mercato da diverse settimane si è quasi totalmente “prosciugato”, è diventato quasi inaccessibile per gli istituti Ue, in conseguenza della crescente sfiducia sulla loro solvibilità . In altri termini, le banche Usa diffidano delle loro consorelle europee e hanno chiuso i rubinetti del credito: Idem sul mercato monetario, dove operano hedge fund e fondi comuni. Secondo una stima della J.P. Morgan Chase, le banche dell’eurozona «hanno perso l’accesso a 700 miliardi di finanziamenti in dollari nell’arco degli ultimi 12 mesi, per i timori sulla loro esposizione verso la Grecia e altre nazioni europee». E’ un colpo duro, con conseguenze a cascata.
A Wall Street viene citato l’esempio della multinazionale petrolifera Bp, che non riuscendo più a ottenere prestiti in dollari dalla Bnp Paribas e dalla Société Générale ha dovuto rivolgersi altrove. Un’altro colosso dell’energia, che opera nel trasporto marittimo del petrolio, ha dovuto bussare alla Citigroup americana per ottenere un fido da un miliardo di dollari che le aziende di credito europee non erano più in grado di erogare. Con l’azione concertata delle banche centrali in sostanza la Fed ha accettato di prestare dollari alla Bce che a sua volta li fornisce alle banche (in questo modo non è la banca centrale Usa ad esporsi al rischio d’insolvenza, visto che la sua controparte è la Bce). E’ questa situazione ad avere determinato l’allarme rosso a Washington: per Barack Obama e Geithner le analogie sono inquietanti, con il “credit crunch” del 2008 quando erano le banche Usa a non farsi più credito l’una con l’altra, per la sfiducia seminata dal crac Lehman. Ed è guardando a quel precedente che Geithner porta la sua nuova proposta oggi all’Ecofin in Polonia: «La Term Asset-Backed Security Loan Facility, con cui il Tesoro Usa forniva liquidità  d’emergenza alle banche, usava i fondi del Tesoro come una garanzia, che consentiva alla Federal Reserve di New York di raccogliere fino al decuplo». Secondo Christine Lagarde, direttrice del Fmi, «siamo entrati in una nuova fase della crisi, c’è ancora una strada per uscirne, ma è una strada stretta».


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