L’armonia di Pechino nel mondo in subbuglio

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Il terremoto planetario in corso cambia la pelle del mondo e rende obsoleti tutti i modelli. Era ora. Il Washington Consensus che tanto trionfò sembra un oggi un relitto di tempeste e nessuno parla più del Beijing’s Consensus, meteora effimera molto fraintesa e presto tramontata, anche perché Pechino non ha (ancora) la voglia e la forza del protagonista, su una scena internazionale così intricata.

Lo ripete il Libro bianco diffuso il 6 settembre dal Consiglio di stato cinese che, come un mantra, coniuga in tutte le possibili dimensioni, interna e internazionale, economica e sociale, nel passato, nel presente e nel futuro, lo «Sviluppo pacifico della Cina». Una summa di concetti già  ampiamente esposti almeno dal 2007, da quando cioè la leadership decise di archiviare la «pacifica ascesa» per diffondere invece il verbo dello «sviluppo pacifico», più rassicurante per il resto del mondo e più consono alla vulgata dell’«armonia» propugnata dai vertici.
E tuttavia, c’è poco da parafrasare: da quando ha assunto un ruolo di primo piano nella globalizzazione planetaria la Rpc ha dovuto affrontare la questione del “consenso” internazionale, intendendo con ciò non una ricerca di potenza o di egemonia quanto piuttosto la capacità  di gestire i conflitti che la sua avanzata economica, senza precedenti per velocità  e forza, e dagli effetti vasti quanto incontrollabili, andava generando con crescente intensità . Lo sviluppo «pacifico» e «armonioso» ha il suono degli slogan di regime ma ha una sua sostanza che va oltre la retorica. Tradotto in azione, per i vertici cinesi significa acquistare il potere necessario a evitare i conflitti o a gestirli in modo da tenerli sotto controllo. Compito che l’attuale congiuntura storica ha reso titanico.
Lo scacchiere su cui Pechino si muove è ormai l’intero pianeta, oggi in totale subbuglio. Uno dei meriti del documento è quello di squadernare l’ampiezza del coinvolgimento cinese a livello mondiale, la sua profonda connessione con il sistema globale, mentre tiene ben presenti, pur senza esplicitarli, i rischi e le incertezze generati dall’attuale situazione di crisi. La Rpc è consapevole che l’essere uscita dalla prima fase della recessione globale con tassi di crescita al 9% e riserve valutarie colossali non mette al riparo dalle nuove tempeste. L’accelerazione del dissesto impone alla Cina di accorciare i tempi del necessario cambiamento strutturale del modello di sviluppo, da un’economia fondata sull’export a una basata sul consumo interno, e che innanzi tutto sia sostenibile, per l’ambiente e la società . Ma affrontare il grande mutamento salvaguardando l’essenziale “stabilità ” interna richiede che l’esterno sia pacifico e collaborativo, circostanza che i tempi non garantiscono.
Infatti le tensioni, nell’area asiatica e non solo, si sono inasprite. Nel 2010 si è visto all’opera il peggio dei contenziosi con Giappone, Corea del sud, Vietnam. La Rpc ha un bel cucire tele economiche che uniscano la regione sotto la sua egida. La sfiducia politica continua a spingere i partner d’affari nelle braccia armate degli Usa, in una dicotomia dalle conseguenze imprevedibili. Cambiando scacchiere, è cronaca di questi giorni scorsi l’ammissione da parte del governo cinese che dirigenti delle sue fabbriche statali di armi nel luglio scorso trattavano la vendita di armamenti alla Libia, a sua insaputa. Ammissione che, se confermata, apre uno squarcio inquietante sulla capacità  dei vertici centrali di governare le dinamiche della politica estera in tutti i suoi risvolti. Un dubbio già  emerso in passato riguardo alle potenti compagnie petrolifere del paese. C’è chi inserisce in questo quadro di divisioni anche l’elemento di progressiva debolezza delle leadership cinesi davanti a una società  e a una struttura politica sempre più frammentate. Il prossimo avvicendamento al vertice, che nel 2012 vedrà  cambiare pressoché per intero il centro del potere, sta in effetti accelerando molte dinamiche delle quali non si riesce a percepire moventi e sbocchi.
È questo sfondo che spiega l’insistenza con cui il Libro bianco martella sul concetto che «il pacifico sviluppo della Cina» non è un ossimoro, come molti continuano a pensare e temere, piuttosto una necessità  dettata al paese dalle sue condizioni di base, dalle tradizioni culturali, dagli interessi nazionali fondamentali e dai vantaggi a lungo termine. In conclusione «la Cina non può svilupparsi isolata dal resto del mondo e la stabilità  e la prosperità  globale non possono essere mantenute senza la Cina». Ma, avverte il documento, solo una Rpc sicura di sé, senza ingerenze esterne né ostacoli alla propria crescita potrà  garantire tutto questo. Tuttavia la sicurezza e la fiducia cinesi non sono affatto un dato acquisito, dipendono da un complesso intreccio “interno-esterno” i cui equilibri si sono fatti più precari. Un intreccio difficile da sbrogliare. il cui capo è certo nelle mani della Cina ma affida agli “altri” la responsabilità  di chiarire che ruolo vogliono assumersi in questa partita globale la cui posta in gioco è il futuro di tutti.


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