L’ultimo appello per Kate “In Nigeria sarà  lapidata”

by Sergio Segio | 5 Settembre 2011 6:41

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ROMA – Libera, ma ancora prigioniera. Libera perché la condanna per detenzione di droga finisce oggi. Prigioniera però di un destino che potrebbe riportarla in Nigeria, la sua terra, dove la sharia, la giustizia islamica, è pronta a condannarla di nuovo. E per lei, Kate Omoregbe, nigeriana cattolica di 34 anni, che dieci anni fa disse no a uno sposo che non aveva scelto e a una religione – l’Islam – a cui non credeva, è prevista la lapidazione. Per Kate si è mobilitata Care 2, una delle maggiori associazioni americane per i diritti civili. Arrivano adesioni da 60 stati nel mondo. Una battaglia a cui si è associato Avvenire, quotidiano dei vescovi.
Alle 11 di questa mattina Kate vedrà  aprirsi le porte del carcere di Castrovillari dopo 2 anni e sei mesi dentro. Fuori ad aspettarla non ci sarà  nessuno, perché la famiglia l’ha ripudiata quando è fuggita, dieci anni fa, da Sakoto, città  nel nord della Nigeria. Ad attenderla c’è invece un provvedimento di espulsione con esecuzione immediata. Per Kate, che esce con un anticipo di 90 giorni per buona condotta, significa andare incontro a una quasi certa condanna a morte del tribunale islamico di Sokoto, che ancora non si è pronunciato ufficialmente. A meno che il provvedimento non venga sospeso.
Dieci giorni fa il coordinatore dei Movimento dei diritti civili, Franco Corbelli ha fatto domanda di asilo politico per Kate. Il caso arriverà  alla commissione ministeriale a metà  ottobre, ma questa mattina il tribunale di Cosenza può, in virtù della domanda, sospendere l’espulsione. In questo caso, Kate sarà  portata in un Cie (Lamezia o Crotone) o nel convento delle suore di Sant’Anna, a Lodi. «Non tornerò mai nel mio paese – si dispera in queste ore Kate – voglio rimanere qui, laurearmi, fare la giornalista e raccontare quello che succede in Nigeria. La mia fede mi salverà ».
La storia di Kate l’ha raccontata lei stessa in una lettera inviata il 22 luglio a Corbelli. A 22 anni, fresca di diploma preso a Benin City in una scuola cattolica, le viene imposto dalla famiglia uno sposo sessantenne. Lui, camionista, pretende che Kate si converta all’Islam. Si trasferiscono tutti a Sokoto. Alla vigilia del matrimonio, lei scappa. Attraversa il Mediterraneo su un barcone, giunge in Spagna da clandestina. Poi l’arrivo a Roma. Trova lavoro come badante, ottiene il permesso di soggiorno. Nel 2008 però viene condannata per detenzione di droga con l’aggravante dell’associazione. Sostiene di essere stata incastrata dalle tre connazionali con cui viveva. Di certo c’è che in carcere (10 mesi a Rebibbia, 2 anni e mezzo a Castrovillari), non la vedono fumare mai neanche una sigaretta.
La petizione online del Movimento dei diritti civili, indirizzata al presidente della Repubblica Napolitano ha già  raccolto 3500 adesioni. Ultima carta da giocare, la Corte europea dei diritti dell’uomo. Ma stamani è il tribunale di Cosenza a decidere il destino di Kate. Una donna di 34 anni, cattolica, libera. Ma non ancora liberata.

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