L’Enel contro le comunità  maya, torna la tensione nel Quiché

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Il motivo è semplice: Enel Green Power ha investito nella costruzione di una nuova centrale idoelettrica nel paese centroamericano, per la precisione in località  Palo Viejo, nella regione montagnosa del Quiché. L’opera però ha suscitato proteste nella zona interessata, il municipio di San Juan Cotzal, dove le comunità  maya-ixil rivendicano i loro diritti sulle risorse naturali di quelle montagne. Da alcuni mesi dunque si trascina un negoziato tra l’Enel e le «municipalità  indigene e autorità  ancestrali» di Chajul, Cotzal e Nebaj, le tre comunità  native della zona (con 28 villaggi).
Cosa c’entrano i risultati elettorali? C’entrano: fa una bella differenza, per un’impresa che ha interessi nel Quiché, sapere se al governo del Guatemala andrà  un uomo come il generale Otto Perez Molina, dichiarato fautore di investimenti simili (e, en passant, cognato del rappresentante generale dell’Enel in Guatemala). Un uomo, inoltre, che conosce il Quiché: è stato responsabile di esecuzioni di massa commesse dall’esercito nella regione maya-ixil durante la guerra interna degli anni ’80. Le comunità  di quella regione hanno tutti i motivi di preoccuparsi.
La centrale idroelettrica di Palo Viejo, nel bacino del fiume Cotzal, è stata autorizzata dal governo guatemalteco nel 2007, e l’anno successivo Enel ha avviato i lavori su terreni acquistati da un latifondista locale. Questo però senza consultare le popolazioni locali, e poi ignorando le loro proteste. La tensione è salita all’inizio del 2011 quando tre comunità  maya hanno deciso di bloccare le strade di accesso al cantiere Enel, e per tre volte il governo ha mandato centinaia di poliziotti in tenuta antisommossa a presidiare i villaggi «ribelli». Scene che da quelle parti ricordano fin troppo bene la guerra interna degli ani ’80-’90, quando con la scusa di «combattere il terrorismo» l’esercito compiva massacri, torture e stupri nelle zone indigene del Quiché: nel Cotzal sono ricordati 114 massacri, prima degli accordi di pace del 1996.
Comunque sia, in aprile è cominciato un dialogo tra l’azienda e le comunità  maya-ixil, con la mediazione di alcuni «testimoni» (tra cui monsignor Alvaro Ramazzini, vescovo della zona). Le comunità  indigenefanno appello ai diritto riconosciuto (la costituzione del Guatemala, la convenzione 169 dell’Organizzazione internazionale del lavoro) e chiedono di «trovare un equilibrio tra i profitti dell’Enel e il diritto a una degna esistenza della comunità »: nulla di sovversivo. In giugno hanno avanzato delle proposte (vedi la rubrica terraterra del 5 agosto): risarcimenti, il diritto ad amministrare una parte dell’energia prodotta. Stava all’Enel rispondere: ma all’ultimo incontro, il 3 settembre, si è limitata a dire che non ha nulla da negoziare. Nuove mediazioni sono in corso, ma gli osservatori hanno avuto la netta impressione che l’azienda voglia prendere tempo, in attesa del cambio ai vertici del paese.
Nel frattempo gli otto candidati a sindaco di Cotzal si sono impegnati a sostenere le richieste delle comunità  indigene – tutti meno uno, quello del «Partito patriota» di Perez Molina. E’ un segnale. Come anche la notizia arrivata il 1 settembre: in piena notte un gruppo di militari ha fatto irruzione in un villaggio della comunità  di Nebaj, sparando a casaccio. L’esercito ha ammesso l’incidente. Un «incidente isolato»? Certo sarebbe allarmante se un’azienda italiana fosse parte in causa in una ripresa di scorribande militari.
Per questo è importante registrare che in Italia si è formata una «Campagna di solidarietà  con le comunità  Maya-ixil del Guatemala», che raccoglie un centinaio di associazioni e soggetti e ha in programma iniziative pubbliche in autunno.


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