Lettere dal Nuovo Mondo gli italiani emigrati si rintracciano sul web

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TORINO – «Si avvertono i nazionali che per fruire della tutela e dei favori previsti dalla legge sull’emigrazione, essi, volendo recarsi in America, devono prendere imbarco su un piroscafo di vettore di emigranti, con biglietto rilasciato in Italia da uffici autorizzati». Per le Americhe si doveva partire così, autarchicamente e rifiutando «ogni proposta di Agenzie di emigrazione stabilite fuori d’Italia», secondo le «Avvertenze agli Emigranti» consegnate a chi chiedeva il passaporto. Forse questa sorta di diktat non era ancora in vigore quando, negli anni Trenta dell’Ottocento, un certo Giuseppe Garibaldi venne inserito nelle liste d’imbarco del porto genovese. Quello del Generale è uno dei milioni di nomi di emigrati che il Cisei, il Centro internazionale studi emigrazione italiana di Genova, sta facendo riemergere dall’oblio del tempo e della storia.
Lo scopo è di ricostruire il più possibile le biografie dei nostri connazionali, che, in un secolo e mezzo, abbandonarono le loro case per cercare fortuna oltreoceano. L’Eroe dei Due Mondi cementò la sua leggenda in Uruguay. E tanti altri espatriati da Genova, come il piemontese Domenico Pogolotti, che costruì all’Avana il primo quartiere operaio del Sudamerica, oppure i chiavaresi Zanone diventati imprenditori di successo in California e nel Midwest, avrebbero lasciato un segno. Altri ancora, sovente «sovversivi», mazziniani ed ex garibaldini, a volte spinti dalle nostre autorità  e dai consoli dell’Argentina o del Brasile in Italia a raggiungere le colonie agricole e militari di laggiù, furono inghiottiti in una delle molte guerre e rivoluzioni che agitarono l’America Latina. Una sorte condivisa, nel 1865, dai circa 130 detenuti politici prelevati nelle carceri di Torino e di Genova e portati sul brigantino «L’Emilia», che si ritrovarono arruolati coattamente nell’esercito argentino.
Unico del genere in Italia e tra qualche mese consultabile online, sostenuto finanziariamente dalla Compagnia di San Paolo, l’archivio del Cisei, che oggi viene presentato al Museo diffuso della Resistenza di Torino, può contare già  sul censimento di oltre due milioni di persone, dalla seconda metà  dell’Ottocento in poi, sebbene non manchino documenti più antichi, risalenti alla fine del Settecento. È una schedatura che si basa sulle liste d’imbarco e su quelle della Sanità  Marittima, sulle matrici dei passaporti, ma pure sulle carte private, lettere e fotografie, spesso fornite dai discendenti degli emigrati, in uno scambio relazionale tra ricercatori e utenti che è una delle novità  della banca dati ligure. A Genova, del resto, come ricorda il presidente del Cisei Fabio Capocaccia, «transitò gran parte del flusso migratorio nel corso dell’Ottocento. Basti dire che, tra il 1876 e il 1901, quasi due milioni di persone partirono da qui, ossia il 61 per cento degli espatri nazionali. E un milione e 700 mila d’italiani s’imbarcò nel periodo compreso tra il 1902 e il 1925, fino ai 400 mila partiti tra il 1926 e il 1939».
Vicende di speranze e di dolore, di attese e di disillusioni, così come di scalate sociali ed economiche, che consentirono a numerosi migranti di scrivere i loro nomi nella storia di quei paesi, dagli Stati Uniti all’America Meridionale. Nomi di uomini e di donne dimenticati in Italia e invece ancora oggi, come nel caso del torinese Guido Antonio Borello, pioniere dell’aviazione in Argentina, a La Plata, ricordati con rispetto nello loro patria d’adozione. Collegato ai principali archivi dell’emigrazione nel mondo, a cominciare da Ellis Island, a New York, il Cisei, ospitato nel complesso di San Giovanni di Pré, noto come la Commenda dei Cavalieri di San Giovanni di Gerusalemme, alla fine dell’anno aprirà  il suo museo. Sarà  un passo ulteriore per restituire dignità  e onore a una parte dei 30 milioni d’italiani che, in 150 anni, a bordo dei piroscafi della Cunnard Line, della White Star, dell’Hamburg America e della Navigazione Generale, andarono a cercare la loro «Merica».


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