«Tranquilli» come a Fukushima?

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Le rassicurazioni che arrivano d’Oltralpe, riguardo l’esplosione nell’inceneritore della centrale nucleare francese di Marcoule, sanno troppo di déjà  vu per essere completamente tranquillizzanti. Si potrebbe ricordare, tanto per fare un esempio, la famosa frase di Antonino Zichichi sul Tempo del 13 marzo, due giorni dopo la catastrofe giapponese, quando la star della fisica sentenziò: «A Fukushima non è successo niente». E non era il solo, purtroppo. Ovvio perciò che nei paesi confinanti, a cominciare dall’Italia, cresca la pressione per conoscere esattamente le modalità  e i dati dell’incidente che le autorità  francesi si ostinano a liquidare, con poche parole, come «chiuso».
L’esplosione del forno utilizzato per fondere e compattare i materiali contaminati (soprattutto metalli) – che secondo alcuni esperti dell’Enea potrebbe essere dovuta a un sovraccarico, con un conseguente picco delle temperature – potrebbe infatti nascondere insidie al momento non rilevate, o forse addirittura non divulgate. Tanto più perché nella centrale di Marcoule, oltre ai tre reattori di prima generazione non più attivi da anni e all’altiforno Centraco di Codolet dove si è verificato l’incidente, c’è anche un impianto per la produzione del Mox (Mixed oxide fuel), con il quale si alimentano i più moderni impianti nucleari e che è un miscuglio di ossidi di uranio e plutonio ottenuti dal riciclaggio delle bombe atomiche smantellate e delle barre di combustibile esaurito. Anche questo processo produce una serie di scarti metallici non riutilizzabili che vanno inceneriti negli altiforni per essere poi inviati ai depositi di stoccaggio. Ecco perché in molti, dal comitato referendario a tutte le associazioni ambientaliste e antinucleariste passando per i partiti dell’opposizione, Verdi in testa, chiedono dettagli e soprattutto invitano l’Unione europea a seguire l’esempio italiano bandendo una volta per tutte il nucleare dall’intero continente.
«Il pericolo c’è. Intervenga l’Unione europea sulla trasparenza e la gestione della crisi», avverte il professor Sergio Ulgiati, del Comitato scientifico del Wwf Italia, che pone domande precise a cui si vorrebbero risposte altrettanto dettagliate. «Cosa bruciava esattamente dentro il forno quando è accaduto l’incidente? A quale temperatura stava lavorando? Quanto materiale e vapore sono fuoriusciti? Con quale tasso di radioattività ? È stato un errore umano o un difetto intrinseco del processo? Può accadere di nuovo?». Domande a cui le autorità  francesi rispondono negando che ci sia stata «alcuna contaminazione, nemmeno sui quattro feriti», o che ci sia rischio di fughe future. Anche se, denuncia Greenpeace, la struttura contenente il forno esploso «non è stata sottoposta agli stress test e non ha ricevuto alcuna ispezione dall’ Autorità  per la Sicurezza nucleare europea».
In effetti, però, non è stata evacuata alcuna zona in prossimità  della centrale. E le Alpi, poi, anche nel caso di una piccola fuga di bassa radioattività , mitigherebbero non poco la contaminazione, spiegano gli esperti. Non la pensa così invece il sottosegretario allo Sviluppo economico, Stefano Saglia, che ieri ha commentato l’evento sottolineando che le «centrali intorno ai nostri confini, che sono 19 al di là  delle Alpi, quando dovessero avere dei guasti non ci risparmierebbero da eventuali conseguenze». Saglia è tornato poi di nuovo sulla «centralità » dell’Agenzia per la sicurezza nucleare italiana «che è sempre più urgente per noi mettere a pieno regime in modo da partecipare alla discussione in Europa sulla sicurezza degli impianti». E per la seconda volta in pochi giorni ha lanciato un velato invito a Umberto Veronesi, che dall’Agenzia se n’è andato prima ancora di aver ricevuto l’investitura formale alla presidenza perché la considerava un organismo «nato asfittico».


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