Putin prenota il Cremlino fino al 2024

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mosca – La chiamavano già  l’Era Putin, adesso rischia di assumere dimensioni da record: una permanenza al potere che potrebbe durare 36 anni, polverizzando i record del simbolo della stagnazione, Leonid Breznev (appena 18 anni), ma superando perfino Stalin (31) e lo Zar Pietro il Grande (33). Vladimir Vladimirovic Putin, attualmente potentissimo premier di Russia, lo ha annunciato ieri mattina ai suoi concittadini bombardati da radio e tv in collegamento continuo con la sala congressi del Luzhniki, ex Stadio Lenin, sede del congresso del suo partito Russia Unita.
Dopo mille illazioni, sospetti e speranze, il meccanismo scelto per perpetuare il “putinismo” è quello deciso già  quattro anni fa: Putin parteciperà  da candidato sicuro alle presidenziali di marzo. Il presidente Dmitiri Medvdev, scelto nel 2008 per tenere caldo il posto vista l’impossibilità  costituzionale per Putin di candidarsi per un terzo mandato, rientrerà  nei ranghi con la poltrona di premier. Uno sconsolato Viacheslav Nikonov, politologo tra i più autorevoli di Russia, sintetizzava ieri sera il futuro del Paese: «La durata del mandato è adesso di sei anni. Significa che Putin potrà  ricandidarsi nel 2018, fare il presidente fino al 2024, e poi potrebbe nuovamente cedere la guida a Medvedev. Insomma avremmo sempre la stessa coppia al potere fino al 2036». Allora Putin avrebbe 74 anni.
Ma il tandem va avanti e non sembra avere ostacoli credibili davanti a sé. Anche la stessa coreografia dell’annuncio sembra studiata a tavolino. Putin ha aperto i lavori tradendo solo una leggera frenesia quando ha cercato di parlare prima dell’inno nazionale. Dopo mielosi e inconsueti elogi a Medvedev ha annunciato di volerlo candidare alla guida di Russia Unita per le elezioni politiche di dicembre. Con finta sorpresa e l’occhio un po’ lucido, Medvedev si è goduto l’applauso dei diecimila delegati del partito. Poi ha preso la parola, si è aggiustato il nodo un po’ troppo largo della cravatta celeste e ha proposto di candidare Putin alla presidenza per il 2012. Altri applausi, altre ovazioni, poi Medvedev con l’aria umile che ha affascinato Barack Obama, tanti leader occidentali e molti esponenti dell’inteligentsja locale ha mormorato: «Sono pronto a lavorare per il futuro governo». Assist perfetto come da copione. Putin ha accettato entrambe le proposte: «Onorato di ricandidarmi per il Cremlino, Medvedev sarà  il mio premier».
Si chiudono così i mesi di incertezza dove era sembrato che Medvedev si volesse ribellare allo strapotere del suo tutore. Nel gioco delle parti l’attuale inquilino del Cremlino aveva sempre recitato il ruolo del poliziotto buono, lasciando il lavoro sporco all’ex superspia del Kgb. Il primo mangiava gli hamburger con Obama, tuonava su Facebook contro la corruzione, invocava la modernizzazione. Il secondo urlava che gli oligarchi ribelli come Khodorkovskij «devono marcire in galera», sgridava Hillary Clinton su Libia e Scudo spaziale, bollava come inetti i funzionari responsabili dei disastri nell’industria spaziale o nella protezione civile. Probabile che il corteggiamento occidentale, e l’amicizia di qualche giovane miliardario, abbia per qualche tempo tentato Medvedev di mettersi in proprio. Ipotesi fragile, naufragata poco dopo. La pagheranno alcuni giovani entusiasti dello staff del Presidente che negli ultimi tempi avevano cercato di forzare la mano criticando sempre più Putin e i suoi. Come ad esempio Arkadj Dvorkovich, consigliere economico di Medvedev fortemente critico con Putin: su Twitter ha lasciato un commento secco: «C’è poco da stare allegri!».


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