“Grazie, mi avete salvato la vita”

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ROMA – «Grazie, grazie… mi avete salvato la vita. L’Italia è il mio angelo salvatore…grazie ancora…». Sono le 14 e 30 di ieri, piazzale antistante il carcere di Castrovillari. Kate Omoregbe è inginocchiata, in lacrime. Ha appena saputo che non dovrà  tornare in Nigeria, dove teme di essere lapidata. Il provvedimento di espulsione è stato sospeso e da ieri la donna, appena uscita di galera, è libera due volte.
«Sono felicissima – dice a stento davanti alle telecamere, poco prima di essere portata in questura per formalizzare la richiesta di asilo politico – ringrazio tutti quelli che si sono mossi per me, il popolo italiano, il presidente Napolitano. Questa notte non ho dormito per l’ansia. Ora voglio rimanere in Italia e vivere senza paura». Nigeriana di 34 anni, cristiana, spaventata, scappata dal suo Paese dieci anni fa per non sposare un uomo scelto dalla famiglia che la voleva convertire all’Islam, finalmente può aprire il suo cuore. «Mi volevano far sposare un amico di mio zio, un uomo di sessant’anni. Mi picchiava. Ho subìto violenze per un anno. Faceva il camionista, era abbastanza ricco. La mia famiglia invece è povera, mio padre muratore, mia madre disoccupata, e siamo 8 fratelli. Quando mi hanno condannato in Italia, ero disperata perché temevo che mi avrebbero fatto tornare in Nigeria. Per me significava morte certa. Non sento la mia famiglia da dieci anni. Ero rimasta in contatto con mia sorella. Ma nessuno è venuto a trovarmi in tre anni e mezzo di detenzione».
Kate rimarrà  in Italia di sicuro fino al 19 ottobre, quando sarà  discussa la sua domanda di asilo politico. Per quella data, il tribunale di sorveglianza di Cosenza dovrà  stilare una relazione preliminare. Sarà  lì che Kate potrà  raccontare tutta la sua storia e i giudici valuteranno se ci sono rischi effettivi per la sua vita, nel caso di un ritorno in Nigeria. Originaria di Benin City, nel sud del Paese, dove è più forte la presenza dei cristiani, Kate sostiene infatti di essere stata portata prima del matrimonio nello Stato di Sokoto, a maggioranza musulmana, dove vige la legge islamica della sharia. Qui per il suo rifiuto era stata condannata alla lapidazione.
«A Kate va concesso senza indugi il diritto d’asilo», ha scritto sul suo blog il ministro degli Esteri Franco Frattini. Dello stesso parere anche la collega Mara Carfagna e l’arcivescovo di Cosenza monsignor Nunnari: «Ci associamo all’appello umanitario». Il web si è mobilitato da giorni (anche se qualcuno nutre dubbi sulla storia di Kate) e la petizione online per farle ottenere l’asilo politico è arrivata a 12 mila firme. La regione Calabria ha già  individuato una struttura dove accoglierla e dove lei tornerà  nei prossimi giorni. Intanto però è stata portata a Roma. La prima notte dopo il carcere di Castrovillari Kate l’ha passata in un Cie. In certi casi, anche un centro di identificazione ed espulsione profuma di libertà .
La sua battaglia era cominciata il 21 luglio, con una lettera di aiuto indirizzata a Franco Corbelli, coordinatore del Movimento per i diritti civili. E a lui ieri ha confidato, dopo un caloroso abbraccio: «Mi hanno condannata per droga ma sono vittima di un errore giudiziario. Ora voglio laurearmi. Diventare una giornalista».


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