“Io, ladro di biciclette a 74 anni sono povero lo faccio per campare”

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Roma. «CHE vuole che le dica? Con poche centinaia di euro di pensione a non si campa». Qui non si tratta di non sapere come arrivare alla fine del mese, di come sbarcare il lunario. Qui si tratta di mangiare i primi quindici giorni e poi di rimanere a pancia vuota. «Per questo, quando ho chiuso la mia attività  di barbiere, ho iniziato a rubare biciclette».
«È la cosa più facile che c’è, anche se oggi i tempi sono cambiati». Spalanca le braccia prima di essere ammanettato C. F. 74 anni, più vecchio e malandato rispetto al protagonista dell’indimenticabile film di De Sica, ma come lui ugualmente disperato. Sabato pomeriggio è stato arrestato fuori da un oratorio, nel quartiere romano di Prati, dagli agenti diretti da Bruno Failla, mentre rubava la seconda mountain bike della giornata. La prima l’aveva già  nascosta in un giardinetto lì vicino. Un’azione fulminea che però è stata notata da un gruppo di quattordicenni – i proprietari delle bici – che ha avvertito la polizia. Così il professionista del grimaldello è finito per l’ottava volta in due anni a Regina Coeli per furto aggravato. La sua prima denuncia per ricettazione risale al maggio del 1986.
«Ho sbagliato, è vero. Ma con 280 euro al mese chi riuscirebbe a vivere? Fino a 17 anni fa facevo il barbiere, ho lavorato trent’anni». Poi le spese erano più delle entrate, così ha chiuso bottega. Sì, i soldi della pensione sono arrivati. «Ma non ci facevo niente, come non ci faccio niente oggi. Quindi mi sono detto: ma a sessant’anni che posso fare? Come campo?». In quel momento la disperazione ha deciso per lui e ha portato via la prima bicicletta, la cosa più facile al mondo da rubare.
L’ultima volta che per C. F. si sono spalancate le porte di Regina Coeli è stato quattro mesi fa: il 15 maggio fu sorpreso dai carabinieri a tranciare la catena di una bici, sempre a Prati, dove metteva a segno la maggior parte dei suoi furti. Tentato furto di una Wurt da donna. Il mazzo di chiavi alterate, di tutte le misure, usate per forzare lucchetti e blocchetti di accensione di motorini furono, allora come sabato pomeriggio, la prova schiacciante che lui non era accovacciato lì, come sosteneva, per allacciarsi una scarpa.
«Comunque i tempi sono cambiati». Quando ha iniziato, le bici si trovavano aperte, lasciate senza lucchetti fuori dai negozi o nei parchi. Oggi hanno lucchetti, catenelle, catenacci, doppio triplo spessore, antifurti che scattano, una cosa da non crederci, manco fossero Porsche. Ci vuole il triplo del tempo per portarle via, se non sei uno bravo. «E poi anche i soldi, non sono mica più quelli di una volta. Dieci anni fa sì che si guadagnava bene a rivenderle. Oggi invece rischi la galera per quanto? Settanta euro». I guadagni sono ridotti all’osso e occorre avere occhio, mestiere, intuito nella scelta del “pezzo” da rubare e da “piazzare”.
«Se va bene una buona bicicletta la vendi per 50 euro; per una commerciale non prendi più di 30, ma proprio se la persona che te l’accetta ti vuole bene. Con un casco ci fai 10 euro. Poi ci sono le bici al titanio e quelle elettriche che le puoi rivendere a 400 euro».
Alla fine arriva anche il momento del pentimento, del rammarico. «Mio figlio non è come me. Lui è una persona perbene, ha studiato tanto e io sono orgoglioso di lui. Fa un lavoro importante, lo so che si vergogna di me e fa anche bene. Ma un padre – almeno per l’educazione che ho ricevuto io – non deve mai chiedere soldi al proprio figlio. È il padre che deve mantenere moglie e figli… che crede che non mi vergogni per quello che faccio quando penso a lui? Mi sono ridotto a fare l’accattone, il ladro e lui invece è il mio orgoglio, così bravo nel suo lavoro. E poi anche dentro casa le cose non vanno più, una mortificazione continua. Ogni volta che esco a fare un giro e poi torno a casa mia moglie mi guarda con la faccia di disgusto, è tutto un litigio. “Guarda che sono uscito a fare un giro”, ma lei non mi crede più. Ormai lo sa che quando torno vuol dire che m’è andata bene e quando non torno sto al carcere. Che debbo dire a questo punto? Ho 74 anni, in cella alla mia età  non mi ci tengono, devo dire che non lo farò più? E certo che non lo faccio più, questa è l’ultima, giuro. Proverò a vivere con i miei soldi e quando finiscono… pazienza. Ecco, butto il mazzo di chiavi. Basta: con le biciclette ho chiuso».


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