“L’Italia ha bisogno di un nuovo premier”

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MIRABELLO – Ce la mette tutta, parlando a braccio, come al solito. Gianfranco Fini cerca di scaldare la sua gente assiepata nella cornice dell’azienda agricola dei fratelli Lodi, di antica fede missina, aquile imperiali all’ingresso. Dice quello che vogliono sentirsi dire: «All’Italia serve una svolta politica, un nuovo premier, uno che non si preoccupi di “resistere, resistere, resistere” magari per continuare la sua crociata contro i magistrati. All’Italia serve una persona che si occupi di economia 24 ore su 24, che voglia solo “governare, governare, governare”, senza interessi personali». Bravo Gianfranco!, urla la platea che, però, si aspetta altro, sogna l’annuncio delle sue dimissioni da presidente della Camera, la scesa in campo come leader a tempo pieno. Lui li lascia a bocca asciutta, dice che, continuando a fare «imparzialmente» il suo lavoro, andrà  in giro per le piazze. Ecco le facce scure dei militanti in paziente attesa da ore: «No, basta! Dimettiti! Prendi tu in mano il partito!». Ma non tira aria di una decisione del genere. Così, dopo un’ora di microfono, Mirabello Due si conclude quasi frettolosamente, senza passione, senza bagni di folla.
Bandiere riavvolte e molte teste basse. Fini mangia cappellacci allo stand gastronomico con la moglie Elisabetta e sembra serenamente consapevole di non aver saziato il suo popolo: «Non parlavo alla piazza ma al Paese».
E al Paese il presidente della Camera riassume le buone ragioni della sua scelta di un anno fa: «Nessun pentimento, quel dito accusatore rivolto a Berlusconi lo alzerei ancora». Dunque: «Si va avanti». Ed ecco che il Terzo Polo può essere «il punto di riferimento di quell’Italia che non ha voce, laboriosa, onesta, l’Italia della politica pulita che fu di Almirante, Berlinguer e Moro». Un Terzo Polo – avverte il presidente della Camera – che deve essere un’unione di forze motivate all’attacco e non rassegnate a giocare di rimessa perché, o ha il coraggio di pensare in grande, di candidarsi a forza di governo, oppure rischia di non avere appeal sufficiente fra gli elettori». Dopo la botta in Parlamento del 14 dicembre 2010, Fli viene descritta dal suo leader non come «partito» ma come «movimento di idee in presa diretta con la società  reale». Gente di destra che spariglia: operai, impiegati, «il nostro elettorato non è un club di miliardari in euro».
Non solo non è pentito ma Fini rincara la dose delle critiche (casomai tra i suoi ci sia ancora qualche aspirante inciucista). Il governo del «ghe pensi mi» Berlusconi non ha saputo difendere la coesione nazionale («e per fortuna c’è Napolitano»), ha subito «il becerume leghista», e ha gestito la crisi in maniera «irresponsabile», varando una «manovra degna più di Fregoli che dell’interesse generale, un Monopoli che porta sempre al punto di partenza». Lui, Fini, avrebbe fatto diversamente, avrebbe messo «una seria patrimoniale» (Denuncia il «doppio tradimento»: «Non hanno toccato chi poteva dare di più e fanno pagare chi ha meno»).
Lui, Fini, avrebbe spiegato agli italiani che bisogna innalzare l’età  pensionabile per «dare certezze ai figli». Lui, ancora, avrebbe liberalizzato, «dismesso il patrimonio demaniale, privatizzato la Rai e messo all’asta le frequenze televisive, anche se questo poteva dispiacere a Mediaset e al presidente del Consiglio. Però ne sarebbe venuto fuori un gruzzolo per ridurre l’Irap».
Non c’è nulla da salvare di questo governo che ci fa fare figuracce nel mondo: «A Parigi un mio collega straniero, presidente di Parlamento, ha capito tutto: l’Italia ha bisogno di cambiare il cuoco non il menu». Via Berlusconi e poi, come dice Casini, un nuovo esecutivo, non tecnico. Annuncia: «Anche noi di Fli ci assumeremo le nostre quote di responsabilità  ma non andando al governo». E’ senza cravatta, accaldato, invita i suoi a darsi da fare per abbattere il Porcellum: «Quella legge è stata un errore. Non abbiate timore, firmate il referendum!».
«Rabbrividisce» all’idea che, chiusa la manovra, «l’emergenza nazionale sia la legge sulle intercettazioni». E’ «disgustoso» leggerle sui giornali – dice – «ma ancor più disgustoso dar vita a certi comportamenti».
Qualcuno, Pisanu, gli altri, si svegli dentro il Pdl, è il suo ultimo appello, altrimenti «saranno gli italiani, con il loro voto, a consegnare lo sfratto a Berlusconi». Lo applaudono, attendono il botto finale, le dimissioni. No, non può, non vuole. Sono delusi? «E’ l’ultimo dei problemi. Mi vorrebbero sempre in mezzo a loro. Farò una piazza al mese come questa. Sarò duro e determinato. Vedrete che tutto andrà  a posto».


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