“Lo strapotere di Milanese nella Guardia di Finanza” parla il generale D’Arrigo

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ROMA – Era potente, quel Milanese. Troppo. E il ministro ascoltava solo lui quando si trattava di affrontare ogni questione relativa alla Guardia di Finanza. Persino di fronte alle pianificazioni del comandante generale, i consigli e i legami di Marco Milanese, l’ex consigliere politico del ministro Giulio Tremonti, dettavano la linea, esercitavano il loro peso. Anche quando si discuteva di trasferimenti, promozioni, avvicendamenti. Soprattutto poi, se bisognava bloccare il trasferimento da Roma di un altro eccellente del corpo, evidentemente vicino a Milanese, il generale Emilio Spaziante.
Una lunga testimonianza da parte dell’ex comandante generale della Guardia di Finanza, Cosimo D’Arrigo, sul «notevole potere» concentrato nella figura di Marco Milanese – nel ruolo chiave di trait-d’union tra il ministro Tremonti e le Fiamme Gialle – arricchisce i nuovi atti che la Procura di Napoli è pronta ad inviare alla giunta per le autorizzazioni a procedere della Camera. Dove, tra una settimana, si torna ad esaminare la richiesta di arresto per Milanese, il deputato Pdl accusato di associazione per delinquere, corruzione, rivelazione di segreto.
D’Arrigo aveva già  espresso, in un’intervista al Corriere della Sera, il concetto che «fu un errore» da parte di Tremonti «delegare a Milanese», «quasi in toto, il rapporti con noi», cioè con la Finanza. Di fronte al pm Vincenzo Piscitelli, ora D’Arrigo integra, ricorda, sottolinea. E ricorda l’episodio in cui, invitato a parlare con il ministro di alcuni trasferimenti in via d’adozione, D’Arrigo comprese che «Tremonti era al corrente». E fu il ministro a chiedergli di non trasferire il generale Spaziante.
Sono carte destinate a suscitare nuove polemiche e varie analisi, soprattutto sul tema delle cordate interne alla Finanza, contesto confermato dallo stesso Tremonti durante le dichiarazioni rese, a giugno, alla Procura di Napoli.
Mercoledì prossimo, sul caso Milanese, alle 9.15, torna a riunirsi alla Camera la Giunta presieduta da Pierluigi Castagnetti, sei giorni prima del previsto. Un anticipo forse dettato dalla mole di carte da esaminare, provenienti dai fronti opposti dell’inchiesta. Solo pochi giorni fa, infatti, sono arrivati numerosi faldoni dagli uffici giudiziari di Benevento, su richiesta degli avvocati di Milanese, Franco Coppi e Bruno Larosa. Un’iniziativa del tutto inedita, e che spingerà  la giunta a chiedere una paradossale autorizzazione affinché Milanese e la difesa prendano visione di atti che essi stessi hanno richiesto, ritenendoli «favorevoli» al punto da volerli sottoporre al Parlamento. Di contro, ecco il dossier che arriva dal pm Piscitelli. Sullo sfondo, restano molti dubbi ancora irrisolti sulla vicenda della sontuosa casa di via Campo Marzio abitata (fino ai primi di luglio) dal ministro, ma formalmente pagata con un fitto di 8500 euro al mese da Milanese. Quest’ultimo, a sua volta, avrebbe intascato quel denaro sotto forma di tangente – secondo quanto riferito dall’imprenditore Tommaso Di Lernia – da Angelo Proietti, il titolare della società  Edil Ars che, guarda caso, aveva ristrutturato gratuitamente l’appartamento e aveva ottenuto appalti dalla Sogei, controllata dal Ministero delle Finanze. Ipotesi di corruzione all’esame dei pm di Roma. Su tale vicenda, il pm di Napoli, insieme alla Procura di Roma, stanno ancora valutando se ascoltare, come teste, il ministro Tremonti.
Il nuovo dossier di Napoli dovrebbe comunque contenere, oltre all’interrogatorio dell’ex comandante D’Arrigo, anche l’esame di un orologio d’oro, un Patek Philippe portato via da una cassetta di sicurezza di Milanese e molto simile a quelli che sarebbero provento «dell’attività  corruttiva». E infine, la consulenza superdettagliata da parte del perito della Procura sulle spese fuori controllo e i lussi del superdeputato Pdl: tenore di vita pressocché incompatibile con i redditi di un potente, ancorché favorito, negli affari, dal suo legame con il ministro.


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