“No al bavaglio, in piazza finché non lo ritirano”.

by Sergio Segio | 30 Settembre 2011 7:33

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ROMA – È plastico lo scontro sulle intercettazioni. Si gioca al centro di Roma, 600 metri e sette minuti di strada, come indica Google maps. Da una parte c’è palazzo Grazioli, dove il premier compie gli anni all’insegna dell’ennesimo vertice in cui si pianifica il colpo di mano per bloccare l’uscita degli ascolti sui giornali. Lì si decide che tra lunedì e martedì al massimo saranno pronti gli emendamenti, li stanno già  scrivendo i fidati Enrico Costa e Manlio Contento. Si conferma che si va di furia verso la vecchia legge Mastella, che se serve si mette la fiducia anche perché la Lega non vuole troppa bagarre sull’argomento, che tra l’11 e il 12 ottobre la partita dev’essere chiusa.
Quando Maurizio Lupi, il vice presidente della Camera, esce e ufficializza il rush sulle intercettazioni sono le 15 e 30. Negli stessi minuti, a tre, quattro isolati di distanza, la protesta diventa protagonista a piazza del Pantheon. Tornano i post-it gialli del “no al bavaglio”, srotolato per terra c’è lo striscione con la faccia di Berlusconi con su scritto «nessuno ti può giudicare, nemmeno il web, la verità  ti fa male lo so». Ecco Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano, il detenuto ucciso a Rebibbia.
Le sigle dei partiti, della stampa, dei sindacati, della rete ci sono tutte. La manifestazione non è oceanica, ma si ripercuoterà  con le dirette per tutto il pomeriggio sul web. Contano facce e promesse. Quella del presidente della Fnsi Roberto Natale: «Porteremo la protesta nelle piazze d’Italia, non smetteremo, alla fine l’avremo vinta noi». Giuseppe Giulietti di Articolo 21: «A legge approvata andremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo». Nelle cancellerie Ue sarà  lasciato un dossier che prova il black out. Il presidente dell’Ordine dei giornalisti Enzo Iacopino dice no a una legge per colpire «i giornalisti scomodi». La piazza applaude, il popolo viola, Valigia blu, Libertà  e giustizia, la neonata Giulia (giornaliste capitanate dai volti Rai della Busi e della Ferrario). Bandiere della Cgil. Pd, Idv, Sel. Ci sono Udc e Fli. Invito a lasciare tutto com’è adesso. Per garantire diritto a informare e libertà  d’indagare.
Sempre in quei minuti si muove il Terzo polo. Si vedono Giulia Bongiorno, battagliera presidente finiana della commissione Giustizia, il centrista Roberto Rao, il rutelliano Pino Pisicchio. Ed emerge, come dice la Bongiorno, «un no reciso al ritorno alla Mastella per come lo propone Ghedini. Se passa il suo stravolgimento nascerà  un “mostro” e c’è il rischio di un totale blackout out informativo. Vietare di pubblicare gli atti di un’inchiesta anche nel contenuto significa buttare al macero due anni di dibattito in Parlamento e lo sforzo fatto per una soluzione equilibrata. Significa varare una norma oscurantista contro cui il nostro no sarà  reciso».
Ma il Pdl va avanti. Il capogruppo Pdl in commissione Giustizia Enrico Costa lavora con l’ex An Manlio Contento agli emendamento. Come Repubblica aveva anticipato già  dal 24 giugno il Pdl torna, sui input di Niccolò Ghedini, al primo articolo della Mastella, più rigido dell’attuale testo in aula perché fa calare il sipario sulle telefonate («È vietata la pubblicazione anche parziale, per riassunto o nel contenuto fino al termine delle indagini o dell’udienza preliminare»), ma anche sugli atti di indagine che dovranno restare segreti fino alla sentenza d’appello. Unico spiraglio, pubblicazione «nel contenuto», per le ordinanze ormai notificate agli avvocati. Costa e Contento terranno in piedi l’udienza filtro, ma solo per fini processuali, per selezionare le intercettazioni necessarie e quelle inutili, ma i testi resteranno comunque segreti. Ammorbidita la norma ammazza-blog con la modifica di Roberto Cassinelli. Alla Pd Donatella Ferranti che annuncia «dura opposizione perché non accettiamo una legge per coprire i rapporti del premier con escort e faccendieri», Costa risponde che «il Pdl vuole mettere fine all’abuso di uno strumento investigativo che dev’essere usato nel e per il processo e non a fini mediatici».

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