by Sergio Segio | 14 Settembre 2011 7:26
CODOLET – La parola d’ordine è: minimizzare. Ma non basta a togliere tutti i dubbi sulla sicurezza dell’impianto di trattamento di scorie nucleari dove lunedì un’esplosione ha provocato la morte di un operaio. La città di Codolet ospita tre reattori nucleari che non producono energia elettrica, ma sono di stretta pertinenza militare. A pochi passi, nella stessa area della centrale di Marcoule, c’è l’impianto più piccolo dove è avvenuto l’incidente. Tutti sono convinti che non ci sia alcun pericolo, a partire dal sindaco, Serge Boissin, eletto nel ‘93 che indica la grossa sirena sul tetto del municipio e spiega: «Sino a quando non sentiamo suonare quella non abbiamo paura. E anche in caso di qualche fuga radioattiva siamo preparati. In quel caso ognuno sa che deve prendere la sua dose di iodio». Vivienne Tarqui che gestisce con il marito il ristorante «Le Tavan» è ancora più caustica: «Paura? L’abbiamo adesso, temiamo un invasione dei Verdi e delle loro polemiche».
Il giorno dopo l’esplosione nella fornace di Codolet quindi il paese ostenta ottimismo e soprattutto fiducia sui sistemi di sicurezza dell’impianto. L’Istituto della Sicurezza Nazionale però sta pensando di affrettare i controlli programmati per il 2012 su tutte le strutture dell’area dopo aver rilevato inquietanti lacune proprio nel sistema di sicurezza della centrale di Marcoule. Lacune che, come sottolinea Sophia Magnoni di Greenpeace che da due giorni staziona davanti ai cancelli della Centraco (la società che gestisce la fornace) con un rilevatore di radioattività in mano, sono emerse dopo che in un solo anno nella centrale sono avvenuti diciotto «incidenti». «Di cui non siamo mai riusciti a sapere la consistenza e la natura, tutti sono stati liquidati dai responsabili della Socodei (che gestisce, invece, l’intera area) come “incidenti industriali”. Esattamente come quello accaduto ora nella fornace», spiega Sophia. Thierry Balhanb, un tecnico della centrale, ammette: «Nell’ultimo anno sono arrivate diverse lettere da parte dell’Istituto della Sicurezza Nazionale: nessuna di esse però avanzava dubbi sulla sicurezza dell’impianto…».
Se però si ricostruisce quando accaduto lunedì nella fornace di Codolet che è in realtà a pochi passi dalla centrale i dubbi sui sistemi di sicurezza sono inevitabili. Bernard Gelli, procuratore di Nà®mes che coordina l’inchiesta della gendarmeria e dell’Asn, l’agenzia nucleare, spiega: «C’è stato un cattivo funzionamento della colata di fusione. Sul metallo si è formata una crosta che, secondo la procedura, l’operaio perito ha cercato di spezzare con un’asta di ferro. A questo punto c’è stato l’esplosione che ha investito lui e il suo compagno, ora in gravissime condizioni». Il magistrato e il tenente colonnello della Gendarmeria Olivier Brisset sottolineano che la radioattivita nei dintorni della centrale è quella di sempre ma ammettono che nessuno è ancora entrato nella fornace. «La temperatura ha superato i 1500 gradi, la procedura prevede che si aspettino 72 ore. Noi entreremo oggi, dopo solo 48 ore», dice il procuratore Gelli.
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