Sanatoria 2002, adesso il Fisco busserà  anche a chi ha pagato

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E ha pure tempo a disposizione: grazie a un emendamento introdotto ieri mattina nella manovra in discussione al Senato, gli accertamenti possono essere effettuati dall’Agenzia delle Entrate fino al 31 dicembre 2012. Una mossa che potenzialmente vale decine di miliardi di recuperi di imposte dovute e non versate.
Finora il governo aveva introdotto in manovra «un’azione coattiva», con la maggiorazione del 50% degli interessi maturati, solo per poter recuperare i potenziali 4 miliardi (in realtà  meno di 2 miliardi incassabili) di chi aveva aderito ai vari condoni di Iva e imposte dirette ma poi non aveva pagato le rate. Ieri invece un altro emendamento ha esteso enormemente la platea di contribuenti che possono finire sotto la lente del Fisco. Ma com’è possibile che il condono Iva non valga più e che l’Agenzia possa pretendere un’imposta anche dieci anni dopo l’anno in cui è maturata, oltre i termini normali di accertamento? E, soprattutto, che possa pretendere il pagamento da chi aveva aderito (pagando) al condono, che per di più di fatto adesso equivale a una autodenuncia penale, mentre non possa più farlo nei confronti di chi non vi aveva aderito?
Quella del «condono zombie, il tombale che esce dalla tomba», una situazione «pazzesca», è il commento che ieri si raccoglieva fra i commercialisti, nata dall’incrocio «perverso» di norme e sentenze che si sono accavallate nel tempo. Tutto nasce dal fatto che il condono Iva non poteva essere fatto dallo Stato italiano, perché l’Iva è un’imposta europea su cui gli Stati nazionali non possono intervenire, come ha stabilito la Corte di giustizia Ue nel 2008. Nel frattempo però, nel 2006, il decreto Visco-Bersani ha raddoppiato i termini per gli accertamenti fiscali da 4 a 8 anni in presenza di reati di natura fiscale. Dunque, visto che il condono Iva non vale più, per quelle situazioni che integrano un’ipotesi di reato (cioè le evasioni oltre i 77 mila euro o le infedeli dichiarazioni oltre i 100 mila euro) l’accertamento è diventato possibile fino al 31 dicembre 2011, poiché il termine decorre dal 2003, anno nel quale si doveva fare la dichiarazione 2002. Di fatto dunque, chi aveva pagato l’aliquota (fra l’1% e il 2%) corrispondente a un’Iva evasa oltre la soglia penale, ha visto il condono trasformato in una denuncia alla magistratura, aprendo così le porte alla Guardia di Finanza e all’Agenzia.
La situazione sembrava esasperata e infatti era tutto rimasto nel limbo. Ma una sentenza della Corte Costituzionale, a fine luglio, ha stabilito che gli 8 anni di decadenza valgono sempre e comunque, quindi anche nei casi in cui la notizia di reato derivi da un’autodichiarazione del contribuente. Dunque l’Agenzia, che conosce gli aderenti al condono, può avviare gli accertamenti. E con l’emendamento di ieri ha tempo fino a tutto il 2012. «Questa norma significa che il governo indirettamente riconosce che i 3 miliardi incassati con il condono sono illegittimi e potrebbero essere chiesti indietro da chi aveva aderito», commenta l’avvocato tributarista Stefano Loconte. Ed Enrico Zanetti, direttore di Eutekne.info, centro studi su fisco e tassazione, aggiunge: «Il governo prende atto di una situazione incresciosa che si è venuta a creare e si cautela per poterla sfruttare se ne avesse necessità . Ma adesso diventa difficile non avviare gli accertamenti, perché potrebbero esserci contestazioni da parte della Corte dei Conti, anche se politicamente è una mossa difficile». E che riguarda, secondo Zanetti, almeno «non meno del 50% di chi ha aderito al condono». Potenzialmente su circa 300 miliardi stimati di Iva evasa nel quinquennio condonato (1998-2002), per il solo 2002 potrebbero essere richiesti all’incirca 60 miliardi, stima Loconte. Ma c’è di più. «Chi ha aderito al condono “illegittimo”», continua Zanetti, «ha dieci anni di tempo per richiedere i soldi indietro. Con questo allungamento il Tesoro di fatto si cautela, perché sennò si troverebbe a dover restituire i 3 miliardi incassati. Ma nessuno busserà  all’Agenzia sapendo di rischiare un accertamento. Ad ogni modo prevedo che saranno sollevate questioni di costituzionalità  su questo ulteriore allungamento dei termini».


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