Sarkozy e l’«affare Karachi» Lo scandalo tocca un fedelissimo

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PARIGI — Alle 8 del mattino dell’8 maggio 2002, una Toyota Corolla rossa piena di esplosivo centrò davanti all’hotel Sheraton di Karachi l’autobus che portava alcuni operai sul cantiere dei sottomarini Agosta 90B, venduti dalla Francia al Pakistan. Morirono il kamikaze, due guardie pachistane e 11 tecnici francesi della Dcn, la direzione delle costruzioni navali. Erano i giorni tragici delle Torri Gemelle, dell’inizio della guerra in Afghanistan, dell’attentato a Djerba in Tunisia e dell’uccisione di Daniel Pearl, sempre in Pakistan: la strage di Karachi sembrava l’ennesimo attacco islamico all’Occidente, e venne presto rivendicata da Osama bin Laden. A distanza di quasi dieci anni, della ricostruzione «jihadista» non rimane nulla: la pista privilegiata dalla giustizia francese è invece un meno epocale affare di tangenti e finanziamenti occulti, per il quale da ieri è indagato Nicolas Bazire, uno degli uomini più potenti di Francia, braccio destro dell’imprenditore Bernard Arnault (Lvmh), testimone di nozze del presidente Nicolas Sarkozy al matrimonio con Carla Bruni (2008) e uomo chiave del suo sistema di potere.

L’«affare di Karachi» entra adesso in una nuova fase, estremamente imbarazzante per l’Eliseo. Dopo la fallimentare inchiesta sugli islamici condotta dal giudice

antiterrorismo
Jean-Louis Bruguière, giudicato vicino a Sarkozy, da quasi tre anni i nuovi inquirenti Marc Trévidic e Yves Jannes indagano sulla «pista interna» con relativo disinteresse dell’opinione pubblica: una vicenda lontana, troppo complicata, legata a mille trafficanti. Ma l’arresto prima e l’indagine (a piede libero) di Nicolas Bazire toccano ora il «primo cerchio» dei collaboratori più stretti del presidente.

Che cosa legherebbe gli 11 morti francesi di Karachi ai sotterfugi della politica parigina? L’ipotesi complessiva è che nel 1994 e nel 1995 l’allora premier à‰douard Balladur, il suo ministro delle Finanze e portavoce Nicolas Sarkozy e il suo direttore di campagna elettorale Nicolas Bazire avrebbero fatto versare ingenti commissioni ad alcuni intermediari per la vendita di sottomarini francesi all’Arabia Saudita e al Pakistan, con la garanzia di ricevere subito indietro una parte del denaro — retrocommissioni — per potere finanziare in nero la campagna presidenziale di Balladur. Il partito preferiva in maggioranza Jacques Chirac come candidato nelle prime elezioni dell’era post-Mitterrand; sceso in campo tardi, Balladur era costretto a trovare soldi, e in fretta, per finanziare la corsa all’Eliseo.

All’epoca, e fino al 2000, in Francia le commissioni legate alla compravendita di armi erano legali; ma le retrocommissioni no. In ogni caso non servirono, Balladur fu sconfitto nonostante i sondaggi favorevoli e Sarkozy costretto a una lunga traversata del deserto. Chirac, appena entrato all’Eliseo, fermò le commissioni che sospettava essere state il canale di finanziamento del suo nemico Balladur; la Toyota rossa piena di esplosivo, in questa ottica, sarebbe allora la vendetta degli intermediari contro la fine della pioggia di denaro arrivata a lungo dalla Francia.

L’Eliseo ieri ha smentito questo scenario con un duro comunicato — «calunnie e manipolazioni politiche» — la sinistra chiede che venga tolto il segreto di Stato e Martine Aubry denuncia «uno dei più gravi scandali della V Repubblica». L’«affare di Karachi», a otto mesi dalle nuove presidenziali, all’improvviso fa paura.


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