Si allarga la crisi per il parco Tipnis

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 Rimpasto di governo in Bolivia per la vertenza del Tipnis (Territorio indigeno Parco nazionale Isiboro Securè). Tre ministri hanno rassegnato le dimissioni in polemica con l’intervento della polizia che, domenica scorsa, ha disperso una manifestazione a Yucumo, a 300 km dalla capitale La Paz.

Alcune organizzazioni indigene (che pure hanno sostenuto l’elezione di Morales, nel 2005) protestano da metà  agosto contro la costruzione di una strada che, per collegare le regioni di Beni e Cochabamba da San Ignacio de Moxos a Villa Tunari, dovrebbe attraversare la riserva amazzonica del Parque Securè. Cecilia Chacon, ministra della difesa, è stata la prima a dimettersi lunedì mattina: «C’erano altre possibilità , nel dialogo e nel rispetto dei diritti umani, la non violenza e la difesa della Pacha mama», ha scritto al presidente, ritenendo «indifendibile» l’intervento della polizia.
Lunedì pomeriggio, ha dovuto lasciare l’incarico anche il ministro dell’Interno, Marcos Farfan, che aveva autorizzato le cariche: un’operazione necessaria – aveva sostenuto il ministro del governo Sacha Llorenti – per evitare lo scontro fra due opposte manifestazioni, una a favore e l’altra contro il progetto. Qualche giorno prima, Llorenti aveva denunciato l’intromissione degli Stati uniti e di alcune Ong. E Morales aveva manifestato l’intenzione di espellere dal paese l’Agenzia degli Stati uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid), accusandola di finanziare azioni politiche contro la nazionalizzazione degli idrocarburi, e fornendo prove di contatti diretti fra alcuni dirigenti indigeni e funzionari nordamericani.
Alla fine, anche Llorenti, però, si è dimesso, spiegando in una conferenza stampa di non voler prestare il fianco «alla destra e all’opposizione che vogliono cancellare il proceso e infangare l’immagine del presidente». Al suo posto, Morales ha nominato Wilfredo Chavez, mentre Ruben Saavedra Soto è subentrato a Cecilia Chacon. Nella conferenza stampa per le nuove nomine, Morales ha accusato i media di soffiare sul fuoco del conflitto con false notizie. La tv Pat, vicina all’opposizione, ha amplificato le immagini degli incidenti con montaggi speciali e musiche drammatiche, mentre El Deber (quotidiano di opposizione) aveva descritto violenze inaudite e colpi sferrati a donne e bambini: «Alcuni media mentono per creare confusione nel paese», ha detto il presidente chiedendo alla stampa di fare il nome del presunto neonato dato per morto negli scontri e di rivelare dove sarebbe sepolto. Morales ha comunque definito «imperdonabile» l’accaduto e assicurato che è in corso un’inchiesta per far luce sulla dinamica degli incidenti, in accordo con i rappresentanti Onu nel paese.
Dall’inizio del conflitto, il governo ha firmato vari accordi con diverse organizzazioni come l’Assemblea del popolo guarany (Apg) e l’altroieri Morales ha annunciato la sospensione del progetto, la cui realizzazione dipenderà  ora da un referendum regionale. I più accesi, però, non si fermano e annunciano di voler riprendere la marcia sulla capitale. Ieri si è svolto uno sciopero nazionale di 24 ore, proclamato dalla Centrale operaia boliviana (che riunisce i principali sindacati), in solidarietà  con gli indigeni, e una manifestazione nel centro della capitale. Alcune televisioni hanno mostrato minatori con cariche di dinamite, ma non vi sono stati incidenti.
I manifestanti chiedono la rottura del contratto con l’impresa brasiliana Oas, che finanzia gran parte del progetto Tipnis, una grande arteria di 300 km, che dovrebbe entrare in funzione entro il 2014. Secondo il governo, un’infrastruttura d’importanza capitale per lo sviluppo del paese, poiché consentirebbe il transito di materie prime al confine con il Brasile e poi verso i porti del pacifico. Secondo alcune organizzazioni, invece, il progetto taglia in due i loro territori (un milione di ettari su cui vivono 15.000 indigeni amazzonici). Le popolazioni verrebbero deportate, fornendo altra terra ai coltivatori di coca (principale base di sostegno a Morales). «La nostra costituzione – ha detto però il presidente – non prevede che tutte le terre demaniali e i parchi naturali passino nelle mani solo di alcuni fratelli indigeni»


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