Sull’orlo dell’abisso

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Si cerca di fornire un’immagine anche visiva, il più possibile nitida, del fronte, degli schieramenti in campo e di come le loro strategie possono far evolvere gli equilibri futuri. Non può mancare, infine, un richiamo patriottico, possibilmente senza retorica, come si addice ai migliori italiani.
Di morti, per fortuna, sin qui non ce ne sono stati. Le perdite patrimoniali di molti, anche di chi deteneva titoli di Stato e attività  tradizionalmente considerate a basso rischio, non si sono ancora materializzate, se non in rarissimi casi. Ben pochi hanno dovuto sin qui liquidare posizioni fortemente svalutate. Né ci sono imprese che hanno dovuto chiudere i battenti. Certo, i capitali di famiglie e imprese si sono fortemente svalutati, pericolosamente assottigliati: la Borsa italiana da inizio luglio ha perso un quarto del proprio valore, gli spread sui nostri titoli di Stato sono tornati ai livelli raggiunti prima degli acquisti massicci della Bce. Ma chi non aveva soldi investiti in titoli di stato, azioni o obbligazioni sin qui ha subito solo lievi escoriazioni.
Se quella che è stata sin qui una crisi estiva dovesse continuare, si trasformerebbe però in una lenta agonia di un intero Paese, con una caduta del prodotto interno lordo e una spirale di deficit e debito pubblico che si autoalimentano. Ben presto ci sarebbero i primi morti, le prime imprese che falliscono, la disoccupazione tornerebbe a salire. E poi solo di peggio, in un vortice che trascina tutto all’ingiù colpendo questa volta soprattutto i più poveri. È qualcosa che dobbiamo a tutti costi evitare perché questa volta saremmo ancora più disarmati di due anni fa. Nella grande recessione del 2008-9 le famiglie italiane hanno subito di più gli effetti della crisi delle famiglie di paesi maggiormente investiti dalla crisi. Perché abbiamo attivato molto meno che in altre nazioni strumenti di sostegno alle famiglie in difficoltà . Questo è avvenuto in parte perché gli strumenti di cui disponiamo per proteggere le famiglie da eventi avversi sono mal congegnati e faticano a raggiungere chi davvero ne ha bisogno. Ma in parte è avvenuto perché l’immenso debito pubblico che grava sulle nostre spalle ci impediva di varare alcune delle misure attivate altrove. Oggi, dobbiamo esserne consapevoli, siamo messi ancora peggio di allora. Non potremmo più permetterci neanche la Cassa Integrazione in deroga. E gli stessi ammortizzatori informali, gli aiuti forniti all’interno delle mura di casa, si sono indeboliti, dato che abbiamo famiglie, soprattutto quelle con figli, sfiancate dalla Grande Recessione, che fra questi nuclei famigliari ha fatto salire i tassi di povertà  anche del 5-6 per cento.
L’unica cosa che ci può consolare è che oggi il fronte è localizzato proprio attorno al nostro Paese. Siamo noi l’epicentro della crisi. Magra consolazione si dirà . Non è così. Il fatto è che non subiamo più le conseguenze di errori altrui, ma siamo in gran parte protagonisti del nostro destino. Tutti ci guardano. Basta leggere i titoli degli editoriali dei giornali tedeschi di ieri per rendersene conto: «Dolce Vita sull’orlo dell’abisso» (Suddeutsche Zeitung), «Prima del Diluvio» (der Spiegel). Si riferiscono a un governo che non solo continua a non chiudere la manovra, ma che addirittura la indebolisce giorno per giorno. Forse avranno letto la relazione tecnica all’ultimo emendamento del governo. Entrate stimate dal coinvolgimento dei Comuni nella lotta all’evasione? Zero. Modifiche dei controlli sull’IVA? 50 milioni fra tre anni. Il tutto per rimpiazzare la perdita di 6 miliardi decretata ad Arcore e nella notte successiva.
Chissà  cosa scriveranno dopo aver letto quanto battevano ieri le agenzie proprio mentre si chiudeva una devastante giornata di Borsa e lo spread chiudeva sui massimi, a 369 punti base. “Manovra, salta soppressione enti sotto 70 dipendenti” (ore 17:03), Manovra, stop liberalizzazione taxi e noleggio con conducente (ore 17:09), Manovra, salta liberalizzazione apertura negozi (ore 17:39), Manovra, slitta di sei mesi aumento sigarette (ore 18).
Per questi motivi un segnale forte che venisse da noi sarebbe, per una volta, influente. Una manovra restaurata e potenziata, in grado di tagliare davvero la spesa corrente, contenente riforme a costo zero per la crescita, verrebbe accolta ben diversamente da chi può con noi combattere a difesa dell’euro e con ben maggiori munizioni di noi.
Perché certo non è una guerra che possiamo vincere da soli. Bene che la coalizione rimanga unita e operi in modo coordinato, senza segni di cedimento. Nessun Paese dell’area dell’euro è sin qui uscito dalla coalizione. Neanche chi sta già  ristrutturando il proprio debito ha abbandonato la moneta comune. Ma il rischio di resa forse non è mai stato così forte. Una nuova recessione renderebbe lo smantellamento dell’Euro pressoché inevitabile. Bisogna per questo scongiurare il pericolo in tutti i modi, con politiche espansive della Banca Centrale Europea, che riportino il tasso per le posizioni di rifinanziamento all’1 per cento, spingendo i tassi sul mercato monetario il più possibile verso lo zero. Se l’Italia fosse virtuosa nell’aggiustamento, se desse il buon esempio, forse anche Trichet e Draghi oggi potrebbero parlare questa lingua.
Oggi in Italia ci sarà  lo sciopero generale. Prendiamolo come protesta contro l’articolo 8 della manovra, quello che vuole permettere ai contratti aziendali di calpestare le leggi dello Stato. Facciamo che sia una mobilitazione per rivendicare un ruolo allo Stato nel fissare diritti minimi inderogabili dei lavoratori, a partire da un salario minimo, forme di compensazione in caso di licenziamento e coperture assicurative e previdenziali di base, che possono essere solo integrati, aumentati, dalla contrattazione collettiva. Diritti per tutti e non solo per chi, sono sempre meno, è rappresentato dai sindacati. Non deve, invece, essere uno sciopero generale contro la manovra, perché oggi sfonderebbe solo una porta aperta e uno sciopero generale “contro” in ogni caso oggi non possiamo proprio permettercelo. Qui ci vuole solo una grande mobilitazione popolare per salvare il Paese.


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