Sulle orme delle Torri Gemelle querce e cascate d’acqua per ricordare le 3000 vittime

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NEW YORK — «Due spazi vuoti, quelli sui quali erano state edificate le Torri gemelle, impossibili da riempire. Cascate d’acqua precipiteranno là  dentro per l’eternità  ma, malgrado il passare del tempo, quel bacino non si riempirà  mai». Michael Arad si leva il casco di un cantiere ancora attivissimo a pochi giorni dall’apertura al pubblico e ordina di attivare il flusso dell’acqua. Due milioni di litri precipitano nelle due voragini quadrate. I laghi verdastri, ricavati dalle fondamenta dei giganti distrutti dieci anni fa dai terroristi di Al Qaeda, si animano. Le pareti diventano cascate alte venti metri. Producono un rumore intenso, avvolgente, che neutralizza quello della città , ma non assordante.
E l’idea-chiave di «Reflecting Absence» (assenza riflettente), il «memorial» per le vittime dell’11 settembre che verrà  inaugurato — presenti Barack Obama e l’ex presidente George Bush — domenica prossima, nel decimo anniversario della strage. Un’idea che ha ossessionato il giovane architetto israeliano fin da una tersa mattina del 2001 quando, mentre si faceva la barba, vide la prima torre in fiamme dalla finestra della sua casa nell’East Village. Arad, allora, aveva 35 anni: «Da quel giorno per me il modo di rappresentare quella tragedia è diventato un’ossessione. Sognavo di notte due vuoti quadrati scavati nel fiume Hudson». E’ l’idea-chiave ora realizzata dopo aver vinto una gara tra 5.200 progetti presentati da architetti di 63 Paesi.
In basso l’abisso di una memoria indelebile. In alto, dietro a noi, la mole massiccia – edificata solo per i due terzi ma già  imponente – del World Trade Center 1, il nuovo grattacielo blindato da muri di cemento armato antibomba che coprono i primi venti metri delle sue quattro facciate: la torre della libertà  e della paura.
In mezzo un giardino al quale un altro architetto, Peter Walker, ha dato l’aspetto di un bosco marmoreo: una spianata di granito nella quale sono state piantate 415 querce più l’«albero della sopravvivenza», l’unico sfuggito, bruciacchiato, al rogo delle torri.
Il marmo dei monumenti solenni e gli alberi, supremo simbolo di vita. Nel tentativo di creare un delicato equilibrio in un luogo che, spiega Arad, «ospiterà , fianco a fianco, visitatori del memorial e del futuro museo sotterraneo che vogliono rivivere un momento tragico della storia americana, parenti delle vittime che rendono loro omaggio davanti ai pannelli di bronzo coi loro nomi disposti lungo il perimetro delle voragini, ma anche migliaia di impiegati degli uffici della zona che andranno a sedersi sotto gli alberi semplicemente per consumare il loro panino di mezzogiorno».
Difficile equilibrio, dice Arad. O, meglio, insopprimibile contraddizione di un luogo – l’area fin qui soprannominata Ground Zero – che, dopo interminabili diatribe, si sta finalmente rianimando, ma è costretta ad essere al tempo stesso un mausoleo e un pezzo della Manhattan più vibrante, a due passi da Wall Street.
Contraddizione evidente a partire dalla torre che, arrivata quasi all’80esimo piano dei 104 previsti, è già  l’edificio più altro di Lower Manhattan. Funzionale grattacielo d’uffici, ma anche simbolo della memoria: una torre-obelisco per la quale l’architetto David Childs (che ha di fatto rimpiazzato l’autore del progetto originario, Daniel Lebeskind, dopo un «golpe» del costruttore Larry Silverstein) si è ispirato al Washington Monument: il grande obelisco che domina il Mall della capitale americana.
La ricostruzione è stata decisa fin dal giorno dopo l’attacco: una selva di grattacieli doveva rinascere dalle ceneri delle torri. Anche se non servivano, anche se New York aveva già  molti spazi per uffici inutilizzati. Una situazione ovviamente peggiorata con la grande recessione iniziata nel 2007 e il tracollo finanziario dell’anno successivo. Un gesto d’orgoglio, non la risposta a una domanda di mercato. Fierezza che spinse i politici a battezzare l’edificio principale del nuovo complesso «Freedom Tower». Trasformandolo, così, in un bersaglio ancor più attraente per i terroristi. Cosa che ha inevitabilmente spaventato ancor più i possibili inquilini. Con pragmatismo e discrezione tre anni fa i gestori dell’area hanno cambiato nome all’edificio: un asettico «World Trade Center One» al posto di Torre della Libertà . Ma non hanno potuto cancellare l’altra scelta simbolica: l’altezza, 1776 piedi (541 metri), l’anno dell’indipendenza americana.
Tutto intorno il grande cantiere che ha coperto «Ground Zero» — con la Torre 4 dell’architetto Fumihiko Maki già  in gran parte costruita ma difficile da affittare e la Torre 2 di Norman Foster, un edificio grosso quanto l’Empire State Building, che è ancora sulla carta — riflette questa incertezza. E anche la continua ricerca di compromessi: con la città  che preferirebbe non convivere con un mausoleo, coi familiari delle vittime che pretendono il rispetto e la sacralità  di un sepolcro e anche con gli inquilini, disposti a trasferirsi in quest’area tormentata solo se adeguatamente incentivati.
Una miscela inevitabile ma sulfurea che ha prodotto la moltiplicazione dei comitati, anni di estenuanti consultazioni e una complessa rete di sussidi. Col risultato finale di un’esplosione dei costi che, nelle attuali, disastrose condizioni dei conti pubblici americani, pare a molti grottesca. Più di sei miliardi per la torre che originariamente doveva essere inaugurata adesso, ma il sui completamento è stato rinviato di almeno due anni. E la stazione ferroviaria sotterranea disegnata da Santiago Calatrava non solo costerà  quasi il doppio del previsto (4 miliardi anziché i 2,2 previsti), ma resterà  un cantiere addirittura fino al 2016.
Oltre al «memorial» (da 700 milioni di dollari), l’unica altra opera che aprirà  tra un anno è il museo con annessa galleria di negozi realizzato sotto il «bosco di marmo». Alla fine, per riportare la vita a Ground Zero, verranno spesi non meno di 20 miliardi. Il rischio del deserto urbano, delle torri che rimangono semideserte, è stato scongiurato qualche mese fa quando l’editore Condè Nast ha deciso di occupare con i suoi giornali metà  degli spazi per ufficio del grande grattacielo di Childs sulla base di un contratti d’affitto di 25 anni, molto agevolato. Così tra qualche anno nei giardini e tra i negozi del nuovo WTC i giornalisti di Vogue si mescoleranno coi banchieri d’affari della Goldman Sachs che presto occuperà  un’altra torre dell’area.


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