Un governo paralizzato

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 Vertici che producono altri vertici, verifiche che alludono ad altre verifiche, tregue verbali che si risolvono in un giro di veti incrociati, continue battute d’arresto alla camera, decisioni sul futuro del partito, del governo o del premier che si mescolano e si accavallano una dopo l’altra senza una regia complessiva. E’ questa la fotografia più onesta del governo Berlusconi. Una paralisi nei fatti che non può non portare alla campagna elettorale.

Dopo aver litigato due giorni fa con Tremonti per esserci, Berlusconi diserta il seminario sulle privatizzazioni a via XX settembre e si chiude a Palazzo Grazioli per un vertice di maggioranza con Pdl, Lega, Responsabili e sudisti di Miccichè. A tutti dice che non ha alcuna intenzione di mollare e ripete che si batterà  come un leone contro la «dittatura della magistratura».
Gli ordini sono chiari: il ddl intercettazioni va approvato dalla camera entro la settimana prossima. Il Cavaliere è ormai consapevole che con la crisi economica non può fare nulla se non regolare vecchi conti o garantirsi ulteriori posizioni di potere. Non a caso la nomina di Bankitalia sarà  affrontata la settimana prossima in un altro vertice e anche il decreto sviluppo slitta a metà  ottobre (come voleva Tremonti) dopo una raccolta delle proposte dei partiti e dei veri gruppi parlamentari. Con la cassa in mano a Tremonti e i pm alle porte, Berlusconi pensa alle riforme e soprattutto alla nuova legge elettorale. Il Carroccio insiste nel rinviare il cambio del «porcellum» (è il sistema che gli garantisce più seggi) a dopo le riforme costituzionali. Ma Berlusconi non ci sente, e avverte che la legge elettorale andrà  discussa subito dopo il primo sì del senato alle riforme. Un voto che Quagliariello prevede entro il 10 novembre. E’ un volgare compromesso in caso di elezioni a primavera consentirebbe alla Lega di presentarsi alle urne almeno con uno straccio di riforma-manifesto approvata in un ramo del parlamento (in tutto servono 4 passaggi). Per lo stesso motivo, sempre entro novembre, il Pdl vuole approvare alla camera la delega sulla riforma fiscale in prima lettura. Spot elettorali pronti all’uso in caso di bisogno. Un espediente che consente a Berlusconi di prendere tempo “dialogando” anche con Udc e Pd.
Certo, peccato che c’è la crisi e qualcosa di concreto bisogna pur fare. Su questo terreno decisivo, l’unico che conta per la maggioranza delle persone, la regia era e resta nelle mani di Tremonti, diventato ormai insostituibile perfino secondo Brunetta. La situazione è quella che è. Soldi per le infrastrutture (vedi i fischi dell’Ance a Matteoli) non ce ne sono né si promettono. E anche tutta la spesa pubblica va diminuita drasticamente. Ieri il ministro ha “vinto” anche sui tagli di 7 miliardi ai ministeri dal 2012. Nel decreto che li ripartisce – firmato obtorto collo da Berlusconi – il peso maggiore ricade su Sviluppo (-2,3 mld), Economia (-2,1 mld) e Difesa (-1,2 mld).
Vista la crisi economica, è difficile che l’Italia agguanterà  il pareggio di bilancio nel 2013: a Washington l’Fmi lo esclude, il Def di Tremonti invece lo garantisce. In ogni caso all’Economia non c’è nessuno – né tecnico né politico – che ha la minima idea su come si farà  a rispettare i nuovi criteri europei di riduzione del debito pubblico. Secondo il Rapporto Diogo Feio, Bruxelles si prepara a imporre a tutti gli stati che superano il 60% del rapporto debito/Pil una riduzione a tappe forzate di 1/20 all’anno. Una misura che per l’Italia vale da sola oltre 46 miliardi all’anno, 5 milioni di euro all’ora! La direttiva inoltre imporrà  multe salate agli stati che non rispettano il ritmo previsto per tre anni consecutivi.
«E’ una situazione drammatica – commenta Edoardo Reviglio, capo economista della Cdp – significa che per vent’anni i governi europei più indebitati non potranno fare altro che tagliare la spesa o aumentare le tasse». Reviglio non lo dice ma è il capolinea del modello europeo, un futuro prossimo di cui è difficile dire se i cittadini siano consapevoli fino in fondo. Di certo i politici non hanno nessuna voglia di farglielo capire bene o di intestarsi questa impresa.
In questo contesto reale che riguarda tutti, c’è quello personale di Berlusconi. Il premier è ossessionato dalle inchieste. I giudici sono la sua prima preoccupazione, tanto da evocare platealmente la latitanza nella sua festa di compleanno organizzata da Alessandra Mussolini: «I magistrati di Milano vogliono farmi fare la stessa fine di Craxi», confessa agli invitati.
Il clima generale è pessimo. Nel Pdl e nella maggioranza «c’è un dissenso molto più ampio di quanto non si immagini e il fatto che non si manifesti è dovuto al fatto che ancora non si sono determinate condizioni favorevoli perché questo accada», avverte Beppe Pisanu a ‘Otto e mezzo’. Berlusconi lo sa, ed è con questo stato d’animo, in modo sciatto, che consente al partito di raccogliere le varie proposte sullo sviluppo in vista del consiglio dei ministri di metà  ottobre. Che Tremonti poi le accetti e i mercati se le bevano è un altro paio di maniche. A ogni buon conto, il ministro rafforza il suo asse con la Lega (l’unico che ha ma anche l’unico che conti qualcosa) e non a caso nel Def scrive nero su bianco che le pensioni sul medio-lungo periodo sono «sostenibili» e non vanno toccate.


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