Afghanistan, escalation continua
“Il numero degli attacchi sferrati dai gruppi armati d’opposizione (Aog) sono cresciuti del 24 per cento rispetto allo scorso anno, in linea con il trend di crescita degli ultimi cinque anni”.
Il grafico annesso mostra quasi 12mila attacchi nei primi nove mesi del 2011, contro i 9mila dello stesso periodo dello scorso anno, i 5.800 del 2009, i 3.800 del 2008 e 2.500 del 2007.
Un altro grafico del rapporto mostra chiaramente come le regioni dove si registrano più attacchi continuino a essere quelle dove maggiore è la presenza e l’attività militare delle forze Nato: in Helmand, Kandahar, Ghazni, Paktika, Khost e Kunar si registrano oltre tre attacchi quotidiani (con punte di otto in Helmand) e in Uruzgan, Zabul, Paktia, Wardak, Nangarhar e Badghis almeno uno al giorno.
Anche “lo schema tattico rimane costante rispetto al passato – prosegue il rapporto Anso – con il 56 per cento di assalti ravvicinati (armi leggere e lanciarazzi) condotti soprattutto in imboscate, il 43 per cento di attacchi con ordigni improvvisati (Ied), razzi e mortai e l’un per cento di attacchi complessi con uso combinato di kamikaze, uomini armati e granate”.
“La pianificazione operativa delle forze armate d’opposizione – si legge ancora – mostra un marcato miglioramento: le contromisure delle forze militari governative e internazionali, quando predisposte, vengono spesso bypassate rendendo possibili assassinii di alto profilo o azioni di elevato impatto mediatico. Insomma, le forze d’opposizione mantengono la supremazia strategica e aumentano le competenze tattiche“.
La terminologia è tecnica e sintetica, ma il significato è chiaro: il prolungarsi della guerra d’occupazione in Afghanistan non porta un miglioramento della sicurezza nel Paese ma, al contrario, provoca una progressiva intensificazione del conflitto. La soluzione logia è una sola.
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