Chiude anche Saint Paul i mercanti via dal tempio

by Sergio Segio | 25 Ottobre 2011 6:42

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Londra. La tendopoli nel cuore della City non è ancora riuscita a riformare il capitalismo, ma intanto ha provocato la chiusura di St. Paul. L’ultima volta che la cattedrale-simbolo di Londra serrò i battenti era il 1945 e sulla capitale cadevano le V2 di Hitler. Ora la minaccia sarebbero le duecento tende e il migliaio di dimostranti accampati da due settimane su Paternoster Square, la piazza che separa la chiesa dalla Borsa e dalle sedi delle grandi banche: «Un rischio per l’igiene e per la sicurezza», accusa il reverendo Graemer Knowles, canonico-capo della cattedrale. Più che urina e schiamazzi, tuttavia, sembra una questione di soldi: le 16mila sterline al giorno che i visitatori depositavano come donazioni nelle apposite cassettine dentro a St. Paul.
Un milione di sterline perdute da qui a Natale, calcola il reverendo, se i turisti continueranno a restare alla larga. Cui si aggiungono le perdite per i bar e i ristoranti della zona, dove broker e banchieri non si sentono più di andare. «Gesù voleva scacciare i mercanti dal tempio», s’indigna il professor Chris Knight, un docente di antropologia in pensione che qualche giorno fa si è unito agli occupanti, «invece questi preti vogliono attirarceli, i mercanti nel tempio».
Non c’è solo St. Paul a difendere lo spirito mercantile dall’assedio di “Occupy Lsx” (acronimo di London Stock Exchange, la Borsa londinese) e di Uk Uncut, il gruppo contro l’evasione fiscale delle grandi società , unitosi ai dimostranti. La City of London Corporation, l’autorità  che amministra la cittadella della finanza, ieri ha messo in campo gli avvocati: è allo studio una richiesta di sgombero da inoltrare alla magistratura. Ma l’azione legale è complicata dalla confusione sulla proprietà  della piazza: potrebbero volerci tre mesi per avere una sentenza e resta poi da vedere come farebbe la polizia a eseguirla, se i manifestanti non fossero lo stesso disposti ad andarsene. «Resteremo fino a Natale, e oltre», prevede Sean, studente, 19 anni, mettendo la testa fuori dalla sua canadese. E la tendopoli ha effettivamente già  l’aria di un insediamento permanente: c’è la mensa, il centro-stampa, la libreria (ribattezzata “Freedom University”), ci sono i bidoni per la raccolta dei rifiuti differenziati e le toilette portatili. «Ma quale minaccia all’igiene dei turisti, qui siamo di una pulizia assoluta», sostiene Lucy, disoccupata 33enne, una dei promotori dell’iniziativa. Da domani il movimento anti-City avrà  anche il suo giornale: The Occupied Times (Tempi occupati). Il Museum of London ne ha ordinate mille copie.
È un accampamento all’inglese insomma: pulito, efficiente, ordinato. Lo abitano giovani e anziani, senza lavoro (ma qualcuno ha preso le ferie per venirci) e studenti, inglesi e stranieri (Georgios dalla Grecia, Jacquie da New York, Maria dalla Malesia). Va bene, starete qui fino a Natale o magari a Pasqua, ma cosa volete? «L’attuale sistema economico e finanziario è insostenibile, antidemocratico e ingiusto, vogliamo più regulation nei confronti di banche e speculatori, meno tagli alla spesa pubblica», dice Virginia. «Non vogliamo cambiare tutto, ma c’è una esigua minoranza, l’1 per cento del mondo, che si arricchisce a dismisura e il 99 per cento che si impoverisce, non va bene», s’arrabbia Greg. «Mio padre ha perso il lavoro, poi abbiamo perso la casa, ma nessuno ha proposto di salvarci dalla bancarotta, perché le banche sì e noi no?», chiede Catherine.
Lungo i confini della tendopoli passano ogni tanto gli uomini (e le donne) in abito grigio: il nemico. Matthew Clapp, direttore di banca: «Il dibattito è sempre salutare, ma qui vedo un sacco di proteste senza offrire soluzioni. Cosa volete, tornare ai baratti? Se il capitalismo non funziona, cosa funzione?». Thomas, giovane broker: «Ce l’avete con la City, ma la City produce un terzo della ricchezza di questo paese. Una volta avevamo il British Empire, ora ci resta solo la finanza, senza di questa l’Inghilterra non conterebbe più nulla». Steve, banchiere quarantenne: «Avete issato un cartello con scritto “fermiamo la povertà “, ma niente la ferma meglio del capitalismo, guardate com’è finito il comunismo».
Si fa sotto Lucy, la disoccupata di prima, «Permette?» chiede al banchiere, e lesta gli sfila di tasca una copia del Financial Times, lo apre alla pagina degli editoriali e legge: «La richiesta di una più equa distribuzione di ricchezza non può essere ignorata. Una crescente diseguaglianza, una povertà  in crescita e l’imposizione di sacrifici a chi può meno sopportarli sono fattori che contribuiscono alla crisi economica che abbiamo davanti. I leader politici occidentali ignorano la protesta degli indignati a loro rischio e pericolo». Sventola il giornale in faccia al banchiere e provoca: «Questo lo dice il Financial Times, mica la Pravda». Se il quotidiano della City prende sul serio la tendopoli, gli indignati hanno aperto una breccia. Forse l’assedio alla cittadella della finanza non è inutile.

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