Confindustria addio. Marchionne vuole carta bianca per licenziare

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Marchionne vuole carta bianca e mani libere, sulla contrattazione e sulla libertà  di licenziare, una sponda che il ministro Maurizio Sacconi ha cercato di rilanciare forzando l’articolo 8 della manovra, con l’irrigidimento dei sindacati. Ma il cosiddetto ‘modello’ Marchionne, che picchia sui diritti raggiunti in decenni di lotte sindacali e che svende i livelli di civiltà  raggiunti nelle relazioni sindacali e industriali in nome della competitività  e della concorrenza, perché adesso si disfa anche dell’associazione di riferimento delle piccole, medie e grandi imprese italiane?

Carlo Scarpa è professore di Economia industriale all’università  di Brescia ed è redattore de lavoce.info

Professore, un’uscita irrevocabile che si giustifica solo con la volontà  pervicace di avere mani libere su contratto e licenziamenti?

Difficile dirsi. Sicuramente il problema è che Fiat vuole sentirsi ancora più libera di quanto sia adesso nelle relazioni industriali. Nel momento in cui di fatto nega a Confindustria di rappresentarla nelle trattative con i sindacati è chiaro che si tiene le mani libere. Cosa ne farà , poi, non si sa

Siamo di fronte a qualche cosa di inedito. Muteranno i rapporti di forza che esistono oggi, un caso che farà  scuola

In teoria sì. Ma il segno interrogativo rimane su quanto questo grado di libertà  aggiuntivo avrà  un effetto. Confindustria da anni vive una crisi rispetto al ‘chi e che cosa rappresento’. Si pensi soltanto a quando è entrato in politica Silvio Berlusconi. Uno dei più grandi imprenditori italiani ha cercato di assumere quel ruolo, scatenando conflitti con l’associazione: vi ricordate dell’assemblea di Vicenza?Lo scontro con i vertici di viale dell’Astronomia fu molto duro. Confindustria è una organizzazione importante, ma non so se gli imprenditori abbiano necessità  di una rappresentanza così ampia. L’industria italiana è fatta da piccole e medie e alcune grandi imprese. E ognuna di esse ha interessi diversi. Un unico organismo, forse, non è necessario.

Il modello Marchionne si auto giustifica con due parole chiave: modernità  e competitività . L’ad in maglione blu per lei è un precursore dei tempi o un battitore libero estraneo al sistema?

Non credo che Marchionne stia andando contro la marea, quanto nella direzione che gli impone la concorrenza internazionale. Il tipo di concorrenza che c’è oggi, lo spostamento delle produzioni, l’integrazione dei mercati impongo riflessioni che abbiamo sperato di non dover affrontare negli ultimi decenni. Marchionne segue una logica ben chiara: semmai trovo curiosa un’altra cosa.

Cosa, professore?

Trovo curioso che l’amministratore delegato sembri dedicare la stragrande maggioranza dei suoi sforzi a questo, piuttosto che ad altri problemi, per esempio alle relazioni con il mercato.

C’è davvero bisogno di ridisegnare le relazioni industriali nel nostro paese? Meglio: solo così si possono ridisegnare?

Per essere brutali e per banalizzare, i nuovi padroni del mondo stanno in Cina. Non dico che sia un modello che io auspico che venga seguito. Ma se la concorrenza arriva da Paesi del genere,non possiamo chiuderci nella nostra isola felice. Hanno velocità , capacità  di aggredire il mercato e una competitività  che dobbiamo recuperare. Oppure usciremo dal mercato. Temo che il modello da seguire sarà  un po più vicino a quello cinese che a quello svedese con un welfare pesante.

Scusi, ma lo Stato che ruolo gioca?

Dobbiamo guardare avanti: io cercherei di spingere molto nelle relazioni con questi paesi che non sono emergenti, ma incarnano già  un mondo odierno, non quello del futuro. La sola VolksWagen in Cina vende più auto di quanto se ne vendano in Italia in un anno. Questa è la dimensione di quel mercato, non possiamo far finta che quel mercato non esista. Dobbiamo dare vita a un rapporto fruttuoso con quel Paese, sapendo che alcune cose cui eravamo molto affezionati dovranno essere riviste o abbandonate. Purtroppo.


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