Crescita e riforme, ecco la road map una corsa a ostacoli lunga otto mesi

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ROMA – Programma ambizioso, ma che nasconde una vera e propria corsa ad ostacoli – andrebbe conclusa in 8 mesi – quello della Lettera inviata a Bruxelles da Berlusconi. Primo scoglio l’approvazione del decreto Sviluppo entro il 15 novembre. Una impresa assai ardua che ha visto contrapporsi Tremonti, allineato sul “costo zero”, e il resto del governo che chiede risorse. Alcuni Consigli dei ministri si sono già  conclusi con il nulla di fatto e non per niente dietro l’angolo continuano a far capolino condoni e patrimoniali.
Anche sui conti pubblici la missiva rischia grosso. «Il governo italiano ha risanato i conti pubblici e conseguirà  l’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013». Vero, a quanto dicono i documenti ufficiali, ma come è noto l’Fmi, già  nelle settimane scorse, ha messo in dubbio che l’Italia possa raggiungere quel target. L’altro punto dolente è l’approvazione della delega fiscale e assistenziale, indispensabile per reperire i 20 miliardi necessari a completare la manovra d’agosto. La Lettera garantisce un’approvazione entro il 31 gennaio del 2012. Il provvedimento è stato già  presentato, ma la delega prospetta il taglio di agevolazioni fiscali fondamentali, come quelle sui carichi familiari e il lavoro dipendente, e rischia di incidere sul Welfare dei più deboli. Non è scontato che abbia vita facile in Parlamento.
Ambiziosi gli obiettivi per favorire la concorrenza e la crescita, chiesti a piena voce dall’Europa. Il calendario della Lettera pone il traguardo al primo marzo del 2012: si parla di liberalizzazione degli orari del commercio, ma si aggiunge che l’operazione andrà  fatta «in accordo con gli enti territoriali» che hanno un potere d’interdizione molto forte come è già  è stato dimostrato in passato. La liberalizzazione del mercato dei carburanti invece è una operazione di “copia e incolla”: già  approvata, come onestamente ammette la Lettera. Sugli Ordini professionali entriamo in un terreno minato dove le promesse rischiano veramente di vanificarsi: la norma già  c’è, ma libera solo le attività  non regolarizzate e rinvia ad un decreto legge la definizione dell’elenco delle attività  regolate.
Punto dolente del rinnovamento del sistema Italia, o almeno di come lo chiedono la Bce e l’Europa, è anche la liberalizzazione dei servizi pubblici locali. La Lega come si sa si oppone da sempre perché non intende mollare le aziende che controlla attraverso i Comuni. La manovra d’agosto se la cava con un espediente: un Municipio può possedere interamente un’azienda di servizi se verifica, notificando la cosa all’Antitrust, che non sussistono condizioni di mercato concorrenziale. Difficile aspettarsi privatizzazioni con la «massima urgenza» da parte degli enti locali come promettere la Lettera. Diverso il discorso degli incentivi promessi – entro il 2011 – per la capitalizzazione delle imprese attraverso sconti fiscali: qui servono i soldi e bisognerà  vedersela con Tremonti.
Per il resto tutta la partita delle opere pubbliche dà  molto l’idea del già  visto: il governo si impegna «entro le prossime 10 settimane» a definire opere immediatamente cantierabili. Promette i famosi sconti Irap e Ires a favore dei concessionari dell’opera (anche in questo caso dovrà  essere Tremonti ad aprire i rubinetti).
Un capitolo a parte è rappresentato dalle privatizzazioni immobiliari: se ne parla da anni, ma raggiungere i 5 miliardi di gettito annuo, seppure in combinazione, come le presunte vendite degli enti locali, appare un miraggio. Se poi per patrimonio pubblico si intendono anche Eni e Enel, c’è il no di Tremonti che considera le due partecipazioni strategiche.
Vale la pena segnalare che la Lettera si propone anche «nei prossimi 4 mesi» di «aggredire con decisione il dualismo Nord-Sud che storicamente caratterizza e penalizza l’economia italiana». Un problema sollevato per la prima volta dall’inchiesta Franchetti-Sonnino del 1877.


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«A votare sono stati i mercati». Credo di aver letto per la prima volta questa espressione, o qualcosa di simile, sul quotidiano La Repubblica nella prima metà  degli anni ’90. Meno di un anno dopo il fallimento della banca d’affari Barings – una delle più antiche e “rispettabili” del Regno Unito – aveva aperto uno squarcio sul mistero dei mercati che «votano».

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