Da Goldman Sachs alle prigioni Usa per insider trading

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NEW YORK — Alan Lafley, storico capo della Procter & Gamble che l’aveva voluto nel suo consiglio d’amministrazione, era talmente affascinato dal suo eloquio e dalla profondità  delle sue analisi da paragonarlo a San Tommaso d’Aquino. Nello spessore di Rajat Gupta — prima gran capo della McKinsey (il gigante della consulenza aziendale), poi «saggio» conteso da alcune delle più blasonate aziende Usa, da Goldman Sachs ad American Airlines — doveva, però, esserci qualcosa di torbido: ieri, infatti, il manager indiano trapiantato nel Connecticut è finito in prigione, schiacciato sotto sei capi d’imputazione per insider trading. Poche ore di detenzione, poi il rilascio su cauzione (10 milioni di dollari) in attesa del processo.
Gupta era già  da un anno e mezzo nel mirino degli investigatori di New York perché sospettato di aver passato informazioni riservate a Raj Rajaratnam, il gestore di hedge fund, anche lui indiano, finito in manette nel 2009 e condannato pochi giorni fa a 11 anni di carcere. Anche qui per il reato di insider trading. Nel 2008 Gupta avrebbe fornito a Raj notizie «sensibili» relative ai risultati economici della Goldman Sachs e al progetto del finanziere Warren Buffett di investire 5 miliardi di dollari del suo patrimonio nella banca, in difficoltà , dopo il crollo della Lehman.
La Procura si è mossa coi piedi di piombo. Pur disponendo di molte intercettazioni telefoniche (compresa una nella quale Gupta chiamava Rajaratnan per spifferargli informazioni riservate sulla Goldman appena 23 secondi dopo averle ricevute via telefono dalla banca), i magistrati hanno faticato a trovare prove adeguate. Ma alla fine Preet Bharara, l’inflessibile capo della Procura di Manhattan, ha ritenuto di aver costruito un caso «blindato» ed è partito all’attacco.
Una storia emblematica della finanza globalizzata e della struttura multietnica della società  americana nella quale il (presunto) crimine economico del finanziere di Calcutta viene perseguito da un inquirente anch’egli indiano, del Punjab. Ma soprattutto una storia sconvolgente per la finanza di Manhattan che trascina nella polvere uno dei personaggi più introdotti e ammirati di New York, proprio mentre la finanza di Wall Street vive una stagione di grande impopolarità  e non solo per la contestazione dei ragazzi di Zuccotti Park.
Rajat Gupta non può certo essere liquidato come un avido rubagalline, un manager isolato che si è vista passare davanti un’occasione di arricchimento illecito e l’ha colta. Gupta, che ora ha 62 anni e ne rischia 20 di galera, è stato considerato per decenni una delle menti più lucide del mondo della consulenza aziendale: entrato in McKinsey nel 1973, senior partner dal 1984 e numero uno del gruppo dal ’94, Rajat ha visto crescere sotto la sua ala molti giovani executive che poi sono diventati capi di banche e multinazionali di rilevanza mondiale.
Rispettato in tutti gli ambienti finanziari, Gupta era ammirato per la sua saggezza, la cordialità , l’eleganza innata, la capacità  di ascoltare, di non far mai pesare il proprio «ego». Solo l’Economist una volta aveva condito gli elogi con un dubbio: «C’è qualcosa del predatore nella sua tranquillità ». Ma la sua integrità  era considerata fuori discussione. Tanto che perfino il fondatore della Microsoft l’aveva voluto nel consiglio d’amministrazione della «Bill & Melinda Gates», la sua fondazione filantropica.
Gupta celebrò la sua apoteosi il 21 giugno 2008, con le nozze di Geetanjali, la maggiore delle sue quattro figlie. Una cerimonia sfarzosa nella grande villa di Westport, in Connecticut, con ospiti venuti da tutto il mondo. Ma in quel momento Gupta aveva già  firmato la sua condanna: la prima delle telefonate incriminate (e registrate) precede di 11 giorni quella cerimonia.
Saputo dell’incriminazione, ieri mattina il manager si è consegnato volontariamente alla polizia, mentre il suo avvocato, Gary Naftalis, ha proclamato l’innocenza del suo assistito che «si è sempre comportato con onestà  e integrità  e non ha mai fatto compravendite di titoli».
Ma Gupta aveva investito nei fondi di Galleon, la società  di Rajaratnan. E tutto il mondo della finanza gli aveva già  voltato le spalle quando si erano diffuse le prime voci sul suo coinvolgimento.
Ora, però, molti si chiedono se il caso di un personaggio di questa levatura, al centro di tante relazioni d’affari, possa essere liquidato come la storia di un’isolata «mela marcia».


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