E nelle urne cade l’ultimo tabù Il gay, l’ex terrorista e la star tv un presidente per la nuova Irlanda

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DUBLINO.  Un uomo politico dichiaratamente gay vuole diventare leader di un paese fortemente cattolico. Il politico non si chiama Vendola, il paese non è l’Italia, ma è una rivoluzione le cui conseguenze potrebbero arrivare lontano. David Norris, 67enne senatore indipendente, era fino a qualche mese fa il favorito per vincere le elezioni presidenziali che si sono tenute ieri in Irlanda. Sarebbe diventato il primo presidente apertamente omosessuale al mondo. Poi è scoppiato uno scandalo: un giornale ha scoperto che Norris aveva scritto una lettera alle autorità  di Israele per invocare clemenza nei confronti di un suo ex amante, condannato nello Stato ebraico per avere avuto rapporti sessuali con un ragazzo di 15 anni. In una nazione come l’Isola di Smeraldo, segnata dall’orrore della pedofilia dei preti, sembrava la fine della sua candidatura. Norris ha abbandonato la campagna elettorale e si è preso una lunga vacanza all’estero. Sennonché, dopo qualche settimana, un collaboratore gli ha telefonato avvertendolo che la sua casella di posta elettronica era intasata da migliaia di email: tre ostili, per lo scandalo di cui sopra, tutte le altre lo invitavano a rientrare in pista. Così il candidato gay è tornato dalle ferie a Dublino e ora attende il responso delle urne (domani i risultati ufficiali).
La sua non è l’unica candidatura senza precedenti. Un altro in lizza è Martin McGuinness, ex comandante dell’Ira, l’Irish Republican Army, l’esercito clandestino che per trent’anni ha combattuto contro le truppe britanniche e i lealisti monarchici in Irlanda del Nord. Considerato a lungo un terrorista, con un mandato di cattura sulla testa, dopo la firma degli accordi di pace tra cattolici e protestanti nord-irlandesi, mediati da Tony Blair nel 1998, McGuinness ha abbandonato la clandestinità , è diventato vice capo dello Sinn Fein, il braccio politico dell’Ira, e poi vice premier del governo autonomo congiunto a Belfast. Qualche mese fa, a sorpresa, ha deciso di candidarsi alla presidenza dell’Irlanda, evidentemente pensando che da quello scranno potrebbe contribuire di più a quello che resta l’obiettivo a lungo termine dei cattolici nord-irlandesi: la secessione dal Regno Unito e il ricongiungimento con il resto dell’isola.
Che un gay e un ex terrorista possano aspirare legittimamente alla massima carica dello Stato, in un Paese a lungo considerato oscurantista, bigotto e conservatore nel pieno senso della parola, cioè restio a qualunque modernizzazione, è il segno di quanto sia cambiata l’Irlanda negli ultimi vent’anni, i primi dieci di boom prodigioso, i successivi di amaro sboom, fino a rischiare la bancarotta nazionale nella tempesta dell’ultima recessione globale. Una tempesta da cui l’Emerald Island sembra uscita, sia pure con molte ferite sociali ancora da rimarginare: in ogni caso non è più dell’Irlanda che si parla a Bruxelles, quanto di Grecia, Italia e Spagna.
La presidenza della Repubblica ha un ruolo più che altro cerimoniale, ma due donne, anzi due grandi donne, che l’hanno svolto nel recente passato, la presidente uscente Mary McAleese e prima di lei Mary Robinson, hanno dimostrato che è un simbolo comunque importante. Non per nulla, del resto, qui il presidente viene eletto dal popolo. «Non voglio essere eletto come presidente gay, non sarei un presidente gay, sarei un presidente che per caso è gay, è differente», ha ripetuto fino all’ultimo comizio il senatore Norris, che si è battuto per una legge che depenalizzasse l’omosessualità  (è passata nel 1993), milita tra gli indipendenti e ha idee radicalmente di sinistra. I sondaggi della vigilia davano in testa un altro indipendente, l’uomo d’affari e star televisiva Sean Gallagher, con il 40 per cento dei voti, seguito dal laburista Michael Higgins con il 25, dall’ex capo dell’Ira McGuinness con il 15 e da Norris con l’8. Ma Gallagher, osserva l’Irish Times, ha perso l’ultimo dibattito televisivo (è emerso che prese una donazione da un controverso trafficante), gli indecisi sono tanti e non si escludono sorprese. Parafrasando il grande commediografo irlandese Samuel Beckett, Norris pare contento comunque: «Se uno non prova, non perde mai. Io sono pronto a provare e riprovare, a perdere e magari a riperdere la volta dopo, ma in modo migliore della prima». Se l’Irlanda è uscita dallo stereotipo del paese retrivo e bigotto, il merito è anche suo.


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