Esposti, lettere, ispezioni Il metodo anti Woodcock

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ROMA — Esposti, interrogazioni parlamentari, ispezioni ministeriali con un obiettivo preciso: «Provocare iniziative disciplinari tese alla delegittimazione dei magistrati e al loro allontanamento dagli uffici giudiziari di Potenza». In cima alla lista c’era il pubblico ministero Henry John Woodcock, seguito dal gip Alberto Iannuzzi. Ma l’attenzione si era concentrata anche su altri tre loro colleghi: Vincenzo Montemurro, Laura Triassi e Annagloria Piccininni. Gli atti dell’inchiesta avviata dalla Procura di Catanzaro sulla presunta associazione segreta che sarebbe stata guidata dai sostituti procuratori generali Gaetano Bonomi e Modestino Roca e composta, secondo l’accusa, da carabinieri e finanzieri in servizio in Basilicata, svelano il meccanismo utilizzato per spiare e annientare le toghe ritenute «nemiche».
Associazione a delinquere finalizzata alla calunnia, corruzione in atti giudiziari, abuso d’ufficio e rivelazione di segreto sono i reati contestati a Bonomi che sarà  interrogato mercoledì prossimo dal procuratore aggiunto Giuseppe Borrelli. Nel capo di imputazione sono elencate le contestazioni all’alto magistrato, sospettato di aver avviato e alimentato questa guerra interna ai palazzi giudiziari di Potenza. In particolare gli viene contestato di aver «inciso sull’ordinario svolgimento delle attività  investigative attraverso una serie di iniziative calunniose e diffamatorie nei confronti di magistrati autori di iniziative o decisioni non gradite» seguendo uno schema che aveva modalità  perfettamente studiate: «Attraverso esposti anonimi ovvero la presentazione, da parte di esponenti politici coperti da immunità  parlamentare, di atti di sindacato ispettivo; attraverso la raccolta di informazioni riservate sugli stessi magistrati nonché su esponenti politici locali, al fine di condizionarne l’attività , da parte di ufficiali di polizia giudiziaria; attraverso il diretto condizionamento dell’attività  investigativa in considerazione della appartenenza degli ufficiali di polizia giudiziaria al sodalizio e del conseguente sistematico sviamento funzionale dell’esercizio della loro funzione; attraverso la garanzia apprestata a soggetti legati da vincoli amicali di uno svolgimento parziale della funzione di pubblico ministero di udienza in grado di appello».
Per cercare di screditare Woodcock si sarebbero mossi su due fronti. Il primo riguardava i suoi rapporti con Federica Sciarelli, conduttrice di «Chi l’ha visto». Dopo aver fatto acquisire i tabulati telefonici dei due, il cancelliere Nicola Cervone, anche lui ora indagato, aveva preparato un esposto anonimo che dava conto dei contatti della giornalista con il magistrato, ma anche con Iannuzzi, entrambi accusati di averle passato notizie riservate. Ma per Woodcock avevano «costruito» anche un’accusa ben più pesante, come è spiegato negli atti d’inchiesta: «Pur sapendoli innocenti, incolpavano l’ispettore Pasquale Di Tolla di aver fatto pervenire, previa intesa con il dottor Woodcock, atti relativi all’indagine che lo riguardava a tale Rocco Francesco Ferrara, attinto da ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip di Potenza, tra i quali brogliacci di alcune intercettazioni, attraverso la donna a lui sentimentalmente legata».
Una vera e propria macchinazione che mirava a distruggere carriere, visto che la Procura generale ha anche poteri disciplinari. In realtà  Bonomi mirava a trasferirsi proprio all’Ispettorato del ministero della Giustizia e per questo avrebbe cercato di accreditarsi con politici, imprenditori e anche con altri magistrati. Tra le centinaia di conversazioni intercettate, ce ne sono alcune con l’amico Gianfranco Mantelli che di quell’ufficio in via Arenula è uno dei vicecapi. E adesso è stato incaricato dal Guardasigilli Francesco Nitto Palma di svolgere l’ispezione a Napoli proprio su Woodcock e sugli altri pubblici ministeri titolari delle inchieste sui pagamenti effettuati dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi all’imprenditore Gianpaolo Tarantini e al faccendiere Valter Lavitola.
Uno dei capitoli dell’indagine di Catanzaro riguarda proprio il ruolo ispettivo di Bonomi e Roca che «con le loro iniziative disciplinari miravano all’allontanamento dei colleghi, ma anche alla loro intimidazione laddove non avessero seguito le indicazioni che trasparivano dalle richieste di informazioni che la Procura generale di Potenza avanzava nell’esercizio del suo potere di vigilanza, ma che evidenziavano il ben preciso intento di sanzionare i magistrati che ne erano destinatari qualora avessero insistito in attività  investigative sgradite». Una guerra tra toghe andata avanti per oltre tre anni.


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