I leader aprono agli indignados pacifici

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PARIGI – Gli indignati scendono in piazza contro i banchieri. 950 appuntamenti in oltre 80 paesi: da Londra a New York, da Tokyo a Francoforte, da Sydney a Madrid, dove il movimento è nato cinque mesi fa. E Mario Draghi, interlocutore e bersaglio numero uno della protesta, gli dà  ragione. «Se siamo arrabbiati noi per la crisi, figuriamoci loro che sono giovani, che hanno venti o trent’anni e sono senza prospettive». Ma il governatore della Banca d’Italia e prossimo presidente della Bce, a Parigi per un vertice del G20, di fronte alle notizie degli scontri che rimbalzano da Roma esclama: «E’ un gran peccato, la violenza è inaccettabile». E ancor più lo è perché, nella sua visione, l’appello dei ragazzi e delle ragazze “indignati” aveva molte più possibilità  di essere ascoltato se la manifestazione fosse stata pacifica. Come è stata ieri in tutte le città  teatro delle proteste, ad eccezione di Roma.
Draghi non è il solo a mettersi dalla parte della “primavera” giovanile. Al G20, per dire, si schiera con i manifestanti anche il segretario americano al Tesoro Tim Geithner, che pure da settimane ha a che fare con la versione Usa del movimento, quella che sta prendendo di mira il cuore e il simbolo della finanza mondiale: “Occupy Wall Street”, così si chiama. Oggi da Parigi dichiara: «Quello a cui stiamo assistendo è l’espressione del timore che l’economia Usa non stia crescendo in tempi rapidi, che il tasso di disoccupazione non stia calando tanto velocemente e che non ci sia un aumento dei salari. La gente vuole che il governo agisca per migliorare la situazione».
Ed ecco il punto, che sta molto a cuore a tutti, a cominciare proprio da Draghi: è arrivato il momento di ascoltarli, questi “indignati”, di dare loro certezze. Non a caso, ormai da settimane, il banchiere non si stanca di denunciare che i giovani sono privi di prospettive e di occupazione e che senza di loro l’economia non si svilupperà  mai. L’urgenza della crescita – questo il succo del suo pensiero – «deriva non solo dagli effetti positivi che ne scaturirebbero sulla finanza pubblica, ma soprattutto dal dovere non più eludibile che abbiamo nei confronti dei giovani, un quarto dei quali sono senza lavoro: senza i giovani non si cresce».
Al governatore-presidente piacciono i “Draghi ribelli”, sebbene vedano in lui uno dei tecnocrati che consiglia i governi nell’imporre sacrifici e nel finanziare le banche in crisi. Scherza perfino sul nomignolo, “carino, no?” che tanto ricorda il suo. «Se la prendono con la finanza come capro espiatorio. Li capisco: hanno aspettato tanto…Noi, all’età  loro, non lo abbiamo fatto». Ma gli scontri no: quelli finiscono per farli passare dalla parte del torto. «Un gran peccato», appunto.


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