I magistrati puntano al Cavaliere ora rischia di finire tra gli indagati

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ROMA – Si scrive Valter Lavitola. Ma si pronuncia Silvio Berlusconi. La capriola della Procura di Bari che riconsegna a una latitanza sine die il faccendiere campano, come del resto la prima mossa istruttoria di quella di Roma, hanno un effetto (almeno questo) nitido. Riportano al centro della scena il Presidente del Consiglio. La sua iscrizione al registro degli indagati a Bari per aver indotto Gianpaolo Tarantini a rendere false dichiarazioni nell’inchiesta sulle escort – scontata fino a dieci giorni fa e improvvisamente non più tale appena sabato scorso – torna ad essere una mossa obbligata. Dalla logica, prima ancora che dal codice. Perché la pronuncia del gip barese Sergio Di Paola, cui il procuratore aggiunto Pasquale Drago ha ritenuto di doversi immediatamente adeguare, ripropone come punto fermo di questa storia quanto ebbero a scrivere, il 26 settembre, i giudici del Tribunale del Riesame di Napoli nel disporre la cattura di Lavitola. Parole declinate con la certezza dell’indicativo. «Non vi è dubbio che le dichiarazioni rese da Tarantini davanti all’autorità  giudiziaria di Bari sulla vicenda escort il 29 e 31 luglio 2009, risultano certamente reticenti relativamente al coinvolgimento del Premier e, a tratti, addirittura mendaci, determinando, in tal modo la consumazione del reato di cui all’articolo 377 bis codice penale, posto in essere da Silvio Berlusconi». E ancora: «Lavitola, pur essendo intervenuto in una fase successiva al perfezionamento del reato, ha continuativamente fornito un prezioso e insostituibile contributo affinché la promessa di Berlusconi, nella fase attuativa, fosse effettivamente mantenuta».
«Consumazione e perfezionamento del reato». Estate 2009. Come è evidente, in questo perimetro – da oggi, un punto fermo – Lavitola è un semplice “strumento” in mani altrui (quelle del Premier), in azione soltanto nell’estate del 2011, quando, appunto, l’accordo “corruttivo” tra Berlusconi e Tarantini per dissimulare la verità  sulle escort è già  solido (è il Presidente che dal giorno uno dell’inchiesta barese sceglie e salda le parcelle del collegio difensivo di Tarantini). Dunque, se la responsabilità  di Lavitola è grave, al punto di doverne confermare la richiesta di arresto, logica vorrebbe che la Procura di Bari, ora, non possa utilizzare un metro di giudizio molto diverso per il Premier. Se Lavitola può manomettere le prove, che dire del suo «correo» Berlusconi?
È difficile, se non impossibile, immaginare che Drago possa chiedere di qui ai prossimi giorni una misura cautelare per il Presidente (tanto più che ha ritenuto fino a ieri che non ve ne fossero i presupposti neppure per Lavitola). Ma, certo, non potrà  ritardare oltre un’indagine che non può non (ri) partire da lui. Non fosse altro perché una sponda potrebbe finire con l’offrirgliela proprio l’indagine collegata della Procura di Roma. Chiamati dal procuratore aggiunto Pietro Saviotti a rispondere di estorsione per la coda di questa storia (estate 2011), Tarantini, Lavitola e lo stesso Berlusconi, si troveranno infatti di fronte a un’alternativa del Diavolo.
Tarantini dovrà  decidere se allontanare da sé l’accusa di aver ricattato il Premier in cambio del proprio silenzio. Ma per farlo avrà  una sola strada. Accusare il Premier. Spiegare cioè che quel milione di euro ricevuto nell’arco di un solo anno altro non è stato che il saldo di un impegno preso da Berlusconi nell’estate del 2009. E così facendo renderà  ancor più concreta l’ipotesi per cui procede Bari (l’induzione al falso). Anche Lavitola non avrà  che un’alternativa. Dirsi strumento del Presidente del Consiglio e dunque affossare Berlusconi rispondendo con lui di un solo reato (indurre Tarantini a mentire), ovvero caricarsene sulle spalle anche un secondo (l’estorsione, appunto). Altrettanto scomoda, la posizione di Berlusconi. A Roma, come parte lesa, avrà  l’obbligo di dire la verità  al pm. Ebbene, dirsi vittima di un’estorsione, significherà  consegnare alla galera Tarantini e Lavitola, rischiandone le conseguenze (come potrebbero reagire, i due, una volta scaricati?). Sostenere al contrario che Lavitola e Tarantini non lo hanno ricattato, significherà  ammettere che in questa storia di responsabile ce ne è innanzitutto uno: lui.


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